“La devastazione del Tav sotto i nostri occhi”

Dichiarazione di Eleonora Forenza, eurodeputata de L’Altra Europa con Tsipras

wp_20140920_007Oggi siamo entrati nel cantiere, abbiamo visto da dentro, anche da entro la montagna, la devastazione prodotta da questa grande opera inutile, la militarizzazione del territorio, il dispendio di una quantità immane di denaro pubblico. Abbiamo fatto un gesto simbolico di protesta che ha scatenato minacce di vario ordine e grado. Sono arrivati persino a dire che avrebbero chiesto danni di un milione di euro per ogni secondo di protesta…. Qualcuno ha definito la nostra protesta poco “onorevole”: io penso che non ci sia niente di più onorevole per una parlamentare che essere dentro e al servizio dei movimenti che lottano contro lo sfruttamento delle persone e dell’ambiente. Come delegazione altraeuropa e come gruppo GUE ci impegneremo in ogni modo contro questa grande opera inutile. #NOTAV

ELEONORA FORENZA
eurodeputata L’Altra Europa con Tsipras

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Ezio Locatelli, segretario Prc Torino, che ha fatto parte della delegazione stamattina in Val Susa, ha  inoltre dichiarato:
“”Era la prima volta che accedevamo al cantiere  e abbiamo potuto toccare con mano e vedere direttamente in corso d’opera quanto l’impatto sia devastante. E’ in atto uno scempio incredibile e un enorme spreco di denaro pubblico e la devastazione sara’ ancora maggiore quando si passera’ da queste opere preparatorie alla linea vera e propria: uscendo dal cantiere mi pareva di essere tornato da Marte. La Tav va assolutamente fermata”. “Nel 2016 le Ferrovie Svizzere apriranno il tunnel del Gottardo e su quella linea si sposteranno merci e passeggeri dal Nord al Sud dell’Europa: quest’opera evidenzia in modo netto l’assurdita’ della Torino-Lione”.

1 commento su ““La devastazione del Tav sotto i nostri occhi””

  1. “DIFENDERE LA TERRA NON E’ REATO!”. Invio questo contributo di qualche anno fa per ricordare un “guerriero della Terra”, il compagno cileno Pablo Vazquez Carrero, fatto assassinare in Africa dai soliti predatori capitalisti
    ciao
    GS
    DEFORESTAZIONE NEL CONGO: UNA APOCALISSE AMBIENTALE
    (Gianni Sartori – 2007)
    Un recente reportage di Giampaolo Visetti (2207 ndr), inviato di “la Repubblica” a Mbandaka, Repubblica Democratica del Congo (RDC), sembrava la descrizione di una vera e propria apocalisse africana annunciata. La distruzione della foresta pluviale, l’esodo forzato delle popolazioni, lo sterminio degli animali, gorilla compresi, trasformati in viande de brousse, le bambine ridotte a schiave sessuali per miliziani e boscaioli…Mancavano soltanto i “safari dei pigmei”, variante africana della “caccia all’indio” che alcune agenzie (non più di quindici, venti anni fa) offrivano sottobanco a turisti in cerca di “emozioni forti”. Del caso si occupò il Parlamento Europeo e la nostra Procura della Repubblica, dato che il “pacchetto con safari incluso” veniva proposto anche da agenzie milanesi.
    Lo scenario presentato da Visetti appariva identico a quello denunciato nel 1987 da un ambientalista cileno, il rifugiato politico Pablo Vazquez Carrero, davanti allo stand del Brasile al padiglione 17 della Borsa internazionale del Turismo a Milano. Allora si trattava dell’Amazzonia e poco dopo lo stand venne ricoperto di sabbia (per ricordare la desertificazione provocata dal taglio degli alberi) e di vernice rossa come il sangue degli indios sterminati. Prima di essere portato via di peso dalle forze dell’ordine Pablo Vazquez ebbe il tempo di protestare contro i mega-allevamenti per i fast-food americani, contro le orde di boscaioli, cercatori d’oro e garimpeiros che abusavano delle bambine indigene, contro gli eserciti privati che terrorizzavano la popolazione. Vazquez conosceva bene l’Amazzonia, in particolare la città-miniera di Carajas con i suoi gironi infernali.
    Oggi cambiano luoghi e nomi, ma la sostanza rimane la stessa. Le foreste del fiume Congo vengono sistematicamente svendute alle compagnie del legname insieme agli esseri viventi che le popolano da sempre. Qui crescono gli alberi secolari di okumé, teak, wenge e della pregiata afrormosia, venduta poi a mille euro al metro cubo in Europa.
    In cambio della foresta pluviale, la foresta primaria più grande dell’Africa, gli indigeni di Irebue avrebbero ricevuto “tre sacchi di sale, due di zucchero, quattro casse di birra e 200 barre di sapone”. Mancava solo il sacchetto di perline.
    In realtà per costringerli a firmare, accettando di abbandonare la foresta, sono intervenuti funzionari governativi.
    Poi sono entrati in azione caterpillar e motoseghe.
    La paga per gli indigeni è di un dollaro al giorno. Per chi abbatte più tronchi è previsto anche un concorso a premi: una casa in lamiera (3° premio), un’automobile (2° premio) e, visto il coinvolgimento della Cina, un viaggio a Shangai (1° premio).
    Con l’ingresso delle compagnie cinesi sarebbero arrivati anche galeotti che scontano la pena abbattendo la foresta per aprire piste. Non si contano gli abusi nei confronti di ragazze e bambine dei villaggi. In un suo reportage da Kisangani Federica Bianchi (“L’Espresso” 2007) riportava i nomi di alcune delle principali società di deforestazione che operano nella zona orientale della RDC: Safbois, Siforco, Soforma, Sodefor, CFT.
    LEGNO, ORO E COLTAN
    Dove il fiume Lomani si getta nel Congo (il “Cuore di tenebra” di Joseph Conrad), a quasi 50 anni dalla fine della colonizzazione e nonostante le elezioni del 2007, continua la guerra delle milizie per impadronirsi delle preziose risorse: legname, diamanti, oro …ma soprattutto coltan, indispensabile per la moderna telefonia. Dopo la fine della guerra civile (era iniziata nel 1996) la situazione sarebbe addirittura peggiorata. Con i suoi 172 milioni di ettari, la foresta dell’ex Zaire era una delle più vaste aree tropicali al mondo, seconda solo all’Amazzonia.
    Almeno quaranta milioni di congolesi starebbero per perdere la loro unica speranza di vita. Dagli alberi ricavano cibo, medicine naturali, mezzi di trasporto come le canoe.
    Inoltre, prevede Greenpeace, la deforestazione nella RDC provocherà nei prossimi quaranta anni l’immissione nell’atmosfera di altri 34,4 miliardi di tonnellate di anidride carbonica.
    Edoardo Mambili, vescovo vicario di Kijangani, ha voluto sottolineare che “tagliando la foresta si taglia l’esistenza”.
    Forse l’ambientalista Stefano Apuzzo non aveva tutti i torti quando chiedeva una “Norimberga per i crimini ambientali”.
    ANCHE L’ITALIA IMPORTA LEGNAME DALLA RDC
    Nonostante la moratoria su nuove concessioni alle compagnie, imposta dalla Banca mondiale nel 2002 in cambio di crediti e donazioni alla RDC per un totale di almeno 4 miliardi di dollari (dati agosto 2006) , le attività sono riprese a pochi giorni dall’accordo, grazie alla corruzione del governo di Kinshasa.
    Le prime a muoversi sono state la CFT e Soforma, seguite da Safbois, la società forestale dei fratelli David e Daniel Blattner. Recentemente la CFT ha iniziato a operare anche nella riserva naturale di Yoko, risalente al 1959. Avrebbe però incontrato una maggiore resistenza da parte delle popolazioni locali.
    Nel 2005 anche Parcafrique, società forestale italiana, ha ottenuto la sua concessione. Secondo Greenpeace nel nostro Paese il legno proveniente dalle foreste africane verrebbe utilizzato soprattutto per confezionare parquet e bare di lusso. L’anno scorso l’Italia ha importato dalla RDC 6.740 metri cubi di tronchi e 2.303 di segati. Quantità ancora maggiori vengono importate dal Camerun (dove è scomparso il 60% delle foreste), dal Gabon e dalla Costa d’Avorio. Su 39 produttori italiani di parquet, 36 utilizzano l’iroko, 36 il wenge e 18 l’afrormosia che in genere provengono dalla RDC.
    Inutili, se non addirittura controproducenti, sono stati finora i tentativi di alcune organizzazioni ambientaliste come il WWF di operare in partnership con le compagnie.
    LA FINE DI UN “GUERRIERO VERDE”
    Alla fine degli anni novanta Pablo Vazquez Carrero (soprannominato nel frattempo “Cico” in ricordo del leader dei seringueiros assassinato nel 1988) si era fatto trasportare dal suo impegno ambientalista proprio nell’ex Zaire.
    Insieme a Stefano Apuzzo (allora deputato dei Verdi e fondatore di “Gaia”) e alcuni militanti ecologisti africani voleva “esportare” nel continente nero i metodi di “Earth First!”.
    Il gruppo ecologista radicale, nato negli Usa nel 1979, si era opposto alla distruzione delle foreste di sequoie piantando chiodi nei tronchi degli alberi destinati ad essere abbattuti. Dato che i chiodi potevano danneggiare i costosi impianti delle segherie, alcune compagnie avevano desistito.
    “ Un deterrente per la cupidigia delle compagnie” scriveva Apuzzo.
    Naturalmente le iniziative più incisive sul lungo periodo sono quelle basate sul boicottaggio. La divulgazione di informazioni precise sulle reali attività delle compagnie e sui prodotti offerti ai consumatori possono influire significativamente sulle vendite e sui fatturati dei distruttori dell’ambiente.
    Si potrebbe cominciare “rinunciando a seppellire i propri morti nel legno pregiato d’Africa”, suggeriva Federica Bianchi
    E magari, pensando ai disastri umani e ambientali provocati dal coltan, fare a meno del telefonino.
    Dopo una serie di rischiose azioni dirette “Cico, questo idealista fuori dagli schemi” (come lo definisce Apuzzo nel suo libro “Corsari Verdi, storie di ecologismo estremo”) era ritornato da solo in Africa per cooperare con un gruppo indigeno, convinto che “senza di loro l’Africa è perduta, non possiamo essere “noi bianchi” a guidare le azioni in difesa delle foreste”.
    Nessuno ha mai potuto scoprire con precisione cosa sia accaduto. La versione ufficiale dell’ambasciata italiana parlò di un “conflitto a fuoco tra opposte bande politiche in un villaggio a nord del fiume Congo”. Pablo Vazquez rimase a terra insieme a due ambientalisti africani, tutti e tre assassinati da pistoleri al servizio dei deforestatori.
    Gianni Sartori (2007)

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