IL 2013 NEL MONDO – VIOLENTE EREDITA’ MEDIORIENTALI

di Michele Giorgio – il manifesto

2013. La guerra siriana si ripercuote sul Libano e Israele ricolonizza i Territori. Unica nota positiva, l’«accordo» occidentale con Tehran sul nucleare iraniano. Ma Ginevra non è scontata

Il 2013 in Medio Oriente e Nord Africa è stato un anno di grande com­ples­sità poli­tica e di immensi spar­gi­menti di san­gue. Una ere­dità che peserà sul 2014. Nell’anno che ci volge le spalle ha domi­nato ancora la guerra civile siriana con i suoi 120mila morti e che, nella seconda metà di gen­naio, dovrebbe essere affron­tata al tavolo della con­fe­renza di Gine­vra II, spon­so­riz­zata da Usa e Rus­sia. La crisi siriana tra­volge l’Iraq e rischia di far pre­ci­pi­tare il Libano.

In Siria si com­bat­tono potenze regio­nali come Ara­bia sau­dita e Iran e si con­trap­pon­gono gli inte­ressi di Washing­ton e Mosca. Lo scon­tro tra Riyadh e Teh­ran, tra musul­mani sun­niti e sciiti, divampa ogni giorno in Iraq, finito in una nuova spi­rale di vio­lenze che ogni giorno fa molte decine di morti nel disin­te­resse del mondo. Al Qaeda, nata come una orga­niz­za­zione segreta di pochi mili­tanti, ha adot­tato una linea più «movi­men­ti­sta» che fa molti pro­se­liti tra i sala­fiti più radi­cali. Torna ad avere una forte pre­senza in Iraq e si è rapi­da­mente dif­fusa in Siria dove ha sta­bi­lito alleanze con «for­ma­zioni sorelle» come il Fronte Nusra e il Fronte isla­mico. Stesso discorso per il Libano dove bombe e vio­lenze da diversi mesi col­pi­scono sun­niti e sciiti, le roc­ca­forti del fronte anti-siriano «14 marzo» come quelle dello schie­ra­mento «8 Marzo» domi­nato da Hez­bol­lah, alleato di Dama­sco e soste­nuto da Teh­ran. Pro­prio il movi­mento sciita è nell’occhio del ciclone. La sua deci­sione di man­dare cen­ti­naia, forse migliaia, dei suoi uomini migliori a com­bat­tere in Siria in appog­gio all’esercito gover­na­tivo, ha ridato fiato alle trombe delle forze liba­nesi di destra che chie­dono il com­pleto disarmo dei guer­ri­glieri sciiti e che sia «rimosso» dal voca­bo­la­rio poli­tico nazio­nale l’idea di «resi­stenza armata». Il 2014 rischia di rive­larsi subito un anno dram­ma­tico per il Paese dei Cedri: il 16 gen­naio si apre presso il Tri­bu­nale Spe­ciale per il Libano il pro­cesso con­tro alcuni mili­tanti di Hez­bol­lah accu­sati dalla pro­cura inter­na­zio­nale di aver preso parte all’attentato del 14 feb­braio 2005 in cui rimase ucciso l’ex pre­mier Rafik Hariri, stretto alleato dell’Arabia sau­dita e padre del lea­der sun­nita Saad Hariri. Per il segre­ta­rio di Hez­bol­lah, Has­san Nasral­lah, il pro­cesso del 16 gen­naio è un «com­plotto inter­na­zio­nale», appog­giato da Usa e Israele, volto a disar­mare la resistenza.

Par­lare ancora di «rivo­lu­zione» in atto in Siria con­tro il régime del pre­si­dente Bashar Assad è fuor­viante, serve solo a ingan­nare l’opinione pub­blica inter­na­zio­nale e a nascon­dere la realtà sul ter­reno. Sono sva­nite le pro­te­ste popo­lari in nome di diritti e libertà della pri­ma­vera del 2011 che dalla città meri­dio­nale di Deraa si erano poi allar­gate ad altre città, inclusa la capi­tale Dama­sco. L’opposizione poli­tica siriana, rag­grup­pata in mag­gio­ranza nella Coa­li­zione Nazio­nale, e il suo brac­cio armato, l’Esercito libero siriano (Els), armato e finan­ziato dai governi occi­den­tali e dai petro­mo­nar­chi, con­tano sem­pre meno e alla con­fe­renza di Gine­vra II rischiano di pren­dere deci­sioni impos­si­bili da attuare. Il neo­nato Fronte Isla­mico (soste­nuto da Riyadh), lo Stato isla­mico in Iraq e nel Levante (al Qaeda) e il Fronte Nusra non hanno alcuna inten­zione diplo­ma­tica, piut­to­sto vogliono con­ti­nuare la «guerra santa» con­tro il régime ala­wita (sciita) di Assad che, da parte sua, è con­vinto di poter ripren­dere una buona parte dei ter­ri­tori siriani caduti in mano ai ribelli. Il bagno di san­gue per­ciò andrà avanti, non solo in Siria ma anche in Iraq dove lo scon­tro tra gli alleati di Iran e Ara­bia sau­dita si fa sem­pre più vio­lento. Potrebbe essere il destino anche del Libano dove la guerra civile in effetti è già in atto ma a bassa intensità.

E nel 2013 c’è stato il duro ridi­men­sio­na­mento del movi­mento dei Fra­telli Musul­mani (e del Qatar, suo spon­sor regio­nale) — che solo un anno fa era in forte ascesa nel Medio Oriente — per effetto del colpo di stato mili­tare in Egitto, che il 3 luglio ha depo­sto il pre­si­dente Morsi e il suo governo isla­mi­sta, e il pro­gres­sivo sfal­darsi del con­senso di cui ha goduto per anni il pre­mier turco Erdo­gan, tra­volto prima dalle pro­te­ste di Gezi Park e poi dalla tan­gen­to­poli turca. I con­trac­colpi si sono sen­titi anche in Tuni­sia, con le gravi dif­fi­coltà che sta incon­trando il par­tito isla­mi­sta «en Nahda», e a Gaza dove il governo di Hamas subi­sce di nuovo le misure restrit­tive impo­ste dalle nuove auto­rità del Cairo.

Men­tre si è aggra­vata l’occupazione israe­liana dei Ter­ri­tori pale­sti­nesi, con l’espansione senza sosta delle colo­nie, nono­stante la ripresa del nego­ziato bila­te­rale impo­sto alle parti dal Segre­ta­rio di stato Usa, John Kerry. Le ten­sioni quo­ti­diane non man­cano, nume­rosi gli uccisi nel 2013, quasi tutti pale­sti­nesi. Tra i rari svi­luppi posi­tivi c’è l’accordo pre­li­mi­nare rag­giunto dalle potenze occi­den­tali con Teh­ran sul pro­gramma nucleare ira­niano. Tut­ta­via il per­corso verso un’intesa defi­ni­tiva è lungo, Israele e Ara­bia sau­dita remano con­tro l’accordo con il pre­si­dente Rowhani e ten­gono sotto pres­sione l’Amministrazione Obama favo­re­vole, almeno in appa­renza, a vol­tare pagina nelle rela­zioni con Teh­ran e a sot­ter­rare l’ascia di guerra.

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