Un nuovo ruolo delle donne nella Regione Lazio

In che modo lo sviluppo dei servizi pubblici locali influisce sulla reale emancipazione femminile nell’ottica di una maggiore conciliazione dei tempi di vita? Quali sono le fondamenta e i presupposti su cui si fonda la programmazione degli interventi sociali nel nostro paese? E quale ruolo è assegnato alla famiglia, e alle donne all’interno di essa, nei sistemi di welfare locali, quando il pubblico non si fa carico delle istanze sociali e cede il passo all’interesse privato? Domande sulle quali occorre interrogarsi in funzione della programmazione – in particolare nel campo delle politiche sociali – degli interventi della Regione Lazio nei prossimi anni.

Il ruolo che viene riconosciuto alla donna all’interno della società è fondamentale per comprendere anche il ruolo che la famiglia assume all’interno di queste programmazioni. Se la donna è considerata primariamente come moglie-madre si tenderà a ricorrere, per tutti quei servizi che riguardano la cura (sia dei bambini che degli anziani e dei disabili), al lavoro informale (e non retribuito) espletato, all’interno della famiglia principalmente dalla donna, facendo leva sulla solidarietà familiare e non incentivando, invece, quelle politiche di assistenza e del lavoro che permetterebbero non solo una reale emancipazione femminile, ma anche una sostanziale parità fra i sessi sul mercato del lavoro. Ciò, indubbiamente, richiede una presa di coscienza da parte del potere organizzato e una conseguente ristrutturazione delle politiche sociali affinché queste tengano in considerazione il nuovo ruolo che le donne tentano di riscattare all’interno della società per una maggiore autodeterminazione.

I profondi cambiamenti economici e socio-demografici intervenuti negli ultimi decenni hanno fatto emergere l’esigenza di dare risposte più adeguate a quelli che sono comunemente definiti i nuovi rischi sociali. Con la svolta economica neo-liberista, avviatasi a partire dalla fine degli anni settanta in tutto il mondo, sono emersi almeno tre aspetti cruciali che hanno avuto, e hanno tuttora, ripercussioni rilevanti sulle trasformazioni, avvenute o mancate, delle politiche sociali.

Il primo aspetto è sicuramente di tipo politico. Se storicamente i modelli di welfare tradizionali nascono come una forma di investimento politico, per fronteggiare situazioni socio-economiche delicate, oggi ciò che accade è esattamente il contrario. Il welfare, oggi, non è più considerato un investimento utile, ma viene piuttosto ritenuto una spesa a perdere, favorendo in questo modo la corsa alle privatizzazioni. Un secondo aspetto che va considerato con attenzione è la nuova organizzazione del lavoro. La sempre maggiore precarizzazione del lavoro, e la mancata ridefinizione delle nuove figure di lavoratori “flessibili” lascia un vuoto interpretativo che si ripercuote sulla stabilità socio-economica dei giovani lavoratori, dei lavoratori poveri e delle lavoratrici donne, abbattendo ogni velleità di progettazione a lungo termine, e alimentando una sorta di solitudine competitiva, ben accetta dal nuovo capitalismo “creativo”. L’ultimo aspetto riguarda la rivoluzione demografica in atto. L’invecchiamento della popolazione, i bassi tassi di fertilità, e tutte le problematiche relative hanno un impatto, tutto italiano, sia sull’emancipazione reale delle donne, che si ritrovano costrette nella “trappola della cura”, vista l’assenza di alternative realmente accessibili, sia sull’aumento dello sfruttamento delle immigrate che, in questo orizzonte di solitudine, e di fronte alle problematiche sociali che accompagnano la non autosufficienza, sono sempre più impegnate nel lavoro di cura. Ma la delega delle donne ad altre donne, in ogni caso, non trasforma la cultura su cui si fonda il sistema di welfare familistico all’italiana ma, semplicemente, una parte dei servizi di cura, pur restando all’interno del focolare domestico, diventano appannaggio di donne immigrate, realizzando una specie di defamiliarizzazione all’interno delle mura domestiche.

La considerazione sulle privatizzazioni dei servizi alla persona, così come la privatizzazione dei servizi pubblici locali in generale, è di carattere politico, e ha a che fare con le responsabilità e la legittimazione del settore pubblico e dello stato stesso. Questa è la resa della politica all’economia, alle leggi del mercato fondate sulla peggiore sfaccettatura delle ideologie neo-liberiste. Se nella gestione pubblica c’è il rischio che i partiti politici si comportino in maniera clientelare, nella definizione dei ruoli e delle cariche all’interno delle aziende municipalizzate, tale rischio non si elimina con la privatizzazione e la delega ad imprese private. La differenza sta nel fatto che, in questo ultimo caso, sono i gestori privati ad avere tutto l’interesse, e tutte le risorse necessarie, a catturare il sistema politico per influire profondamente sul sistema di governo, da cui dipendono le posizioni di rendita. Se l’interferenza della politica, nella gestione dei servizi pubblici, penalizzava l’efficace sviluppo dello stato sociale, l’invasione dei gestori privati nel governo, per accaparrarsi fette crescenti di mercato, sostanzierebbe una malattia grave dello stato nel suo complesso, delegittimando il ruolo della politica, e quindi delle scelte dei cittadini, minacciando così la stabilità della coesione sociale che è alla base del buon funzionamento della democrazia.

Per quanto riguarda la questione di genere, le prospettive di una reale emancipazione economica e sociale della donna sono molto lontane. Si affrontano le questioni demagogicamente, per fomentare l’odio reciproco e sostenere il proprio consenso elettorale, conquistato proprio sulla promessa di una maggiore sicurezza. Ma quale sicurezza è offerta realmente alle donne? Come possono le donne imparare a liberarsi dalle catene della sottomissione e della dipendenza dagli uomini, dalla schiavitù dei loro corpi, se il diritto ad essere considerate individui, e non una categoria, una minoranza, da tutelare, non viene affermato pubblicamente? Sembra che non ci si riesca a liberare da quel binomio che intercorre fra la differenza di sesso, tra persone con corpi femminili e maschili, e la disuguaglianza sociale. La specifica capacità generante del corpo femminile diviene inesorabilmente un limite sociale per le donne stesse. Non si arriverà mai ad un parità sostanziale fra i sessi, se ancora oggi non si riesce a garantire i servizi basilari, che non sono lo scopo ultimo dell’emancipazione femminile, ma solo un primo strumento necessario a garantire l’esercizio effettivo della libertà delle donne a partecipare pienamente alla vita lavorativa, alla vita sociale, alla vita culturale, politica e sindacale. Se non si incrementano i servizi sociali di cura, se non se ne socializzano i costi, come si può pensare di leggere la famiglia con nuove lenti, più rispettose della persona in quanto individuo, e non in quanto ruolo necessario al buon funzionamento della società, al controllo sociale e alla riproduzione intergenerazionale dei rapporti di potere? Garantire servizi pubblici ed accessibili, non è solamente un dovere dello stato e un diritto inalienabile dei cittadini, ma è un primo passo verso la definizione di nuovi rapporti tra le persone, ed in particolare fra gli uomini e le donne. Se non si comincia da qui, dalla base, come si può pensare di mettere in discussione una cultura che è radicata nella nostra storia? Per questo motivo non ha senso che il pubblico esca di scena nella programmazione e nella gestione delle politiche sociali. Non ha senso delegare, a chi ha in mente il profitto privato, la gestione di strumenti preziosi alla comunità intera, e alle donne, in quanto individui ancora penalizzate dal persistere di mentalità tradizionaliste. L’integrazione tra i diversi settori delle politiche pubbliche, così caldamente promossa dalla legge n. 328/2000, stenta a realizzarsi anche a causa dell’avanzata silenziosa del privato, che sottrae mercato al pubblico e trasforma in merce i diritti sociali di cittadinanza conquistati.

CLAUDIA DE GIORGIO

Candidata indipendente della “Federazione della Sinistra” alla Regione Lazio

Questo sito o gli strumenti terzi da questo utilizzati si avvalgono di cookies necessari al funzionamento ed utili alle finalità illustrate nella cookies policy. Se vuoi saperne di più o negare il consenso a tutti o ad alcuni cookies, consulta la cookies policy. Cliccando sul pulsante "Accetto" acconsenti all’uso dei cookies.