IN RISPOSTA AI TANTI COMMENTI: ANCORA A PROPOSITO DI GC E ALLEANZE

di Simone Oggionni


Le risposte e i commenti al mio contributo sul tema delle alleanze sono stati tali e tanti da rendere necessaria una ulteriore puntualizzazione, incentrata in maniera esclusiva, come è ovvio, sulle note critiche e di dissenso.
Matteo Amatori sostiene due cose secondo me molto interessanti. In primo luogo ci ricorda che il conflitto sociale e l’iniziativa di massa sono centrali. In secondo luogo che l’efficacia e la credibilità di un partito (a maggior ragione di un partito comunista) si misura innanzitutto con la sua capacità di essere coerente tra ciò che promette e i fatti che produce. Condivido pienamente: è per questo che – lo ripeto – il tentativo di ridurre un dibattito così articolato come quello che ci aspetta alla prossima conferenza ai meri assetti istituzionali del partito è un tentativo deprimente, che disvela tutta la nostra subalternità ad una logica elettoralistica e, appunto, istituzionalistica. Invece, prima, viene il conflitto sociale e la capacità di produrre consenso a partire dalle lotte che conduci e dalle vertenze che determini.
Sulla coerenza tra le promesse e i fatti (che Matteo dice Rifondazione abbia abbandonato più volte, sia nell’esperienza del governo Prodi, sia nel passaggio da Chianciano ad oggi): proviamo a ragionare con attenzione. Rifondazione (tutta la sinistra) ha tradito la fiducia del suo popolo condividendo con il centro-sinistra politiche anti-sociali e politiche di guerra aberranti. L’errore di fondo (che spesso viene dimenticato anche nelle numerose autocritiche a cui ciclicamente assistiamo) fu quello di non vincolare la nostra partecipazione a quel governo ad impegni programmatici precisi. Si scelse di non contrattare il programma e, in nome di una logica pregiudiziale e ideologica, di costruire a qualunque costo prima l’Unione e poi il governo. Gli esiti sono stati, come ben ricordava Matteo, catastrofici.
Ma la stessa categoria di «incoerenza» non può essere utilizzata per il Prc degli ultimi mesi. A Chianciano siamo stati chiari e, su quelle premesse, abbiamo costruito la linea politica di questo ultimo anno. Una linea – rimasta intatta anche in seguito al congresso del Pd – fondata sull’autonomia e l’alternatività rispetto a quel partito e dunque sulla intransigente indisponibilità a qualsiasi nuovo accordo di governo. Una linea che, al contempo, non è mai stata di indisponibilità a discutere programmaticamente a livello locale (dai quartieri delle grandi città alle Regioni) oppure di insensibilità rispetto alla tenuta democratica del nostro Paese. Questa è sempre stata, tradizionalmente, la linea di Falcemartello (giusto, Margherita?), e cioè del 3,2% del partito (all’ultimo congresso). Non della sua maggioranza e men che meno del partito nel suo complesso.
In questo senso non mi pare «incoerente» la scelta del partito di discutere di volta in volta le alleanze per le elezioni regionali né quella di aprire ad una prospettiva di accordo sulla legge elettorale proporzionale e sulla legge sul conflitto d’interesse.
Il compagno che utilizza il profilo dei Gc di Messina introduce un’ulteriore argomentazione: dato che il nostro peso è ai minimi storici, la nostra capacità di rendere il Pd permabile alle nostre istanze è pari a zero. Questo è un rischio reale, è inutile girarci intorno. Il problema è però che non ce la caviamo dicendo che dato che non contiamo più niente allora la soluzione è disinteressarci completamente del livello istituzionale e ridurci a fare opera di testimonianza e di resistenza (a livello sociale come a livello culturale). Il punto è che per fare pressione e per rendere minimamente utile la nostra ridottissima presenza istituzionale (anche nelle giunte locali) serve il massimo possibile della lotta politica e della nostra presenza nei movimenti e nei conflitti! È per questo che trovo paradossale che il nostro partito si rianimi (è questa la realtà di tanti nostri circoli o comitati politici federali) soltanto in coincidenza delle discussioni sugli assetti istituzionali, nelle riunioni in cui si decide chi fa (o non fa) l’assessore o il consigliere! Quello che vorrei evitare è che anche i Giovani Comunisti facessero questa fine, disimparando a parlare di noi e dei nostri compiti (della nostra presenza nelle lotte operaie, tra gli studenti, nei luoghi di lavoro e di socializzazione della nostra generazione) e imparando a scimmiottare il partito adulto nella discussione tutta politicista sugli assessori e le alleanze!
Nessun programma potrà mai reggere, soprattutto in questa fase di profonda debolezza del Prc e della sinistra tutta, se non saremo in grado di costruire nel Paese lotte grandi ed estese. Ed il fatto che queste siano riapparse con prepotenza negli ultimi mesi è un segnale di speranza, che ci fa guardare con un po’ più di ottimismo anche ai confronti programmatici nelle regioni in cui si andrà a votare.
Oscar Monaco sostiene – evidentemente riferendosi all’intervista di Ferrero, e non certo al mio articolo – che il parallelo con il Cln sarebbe improprio. Penso che abbia ragione sul piano strettamente storico (i contesti sono imparagonabili, per molti motivi, e dunque il parallelo è storiograficamente grossolano) ma meno sul piano politico. L’idea del Cln indica la necessità di individuare un «avversario principale» contro il quale coalizzare le forze interessate, in quella precisa contingenza, ad opporvisi in nome della democrazia. Ed è a mio avviso proprio quello che dobbiamo fare contro Berlusconi e le sue politiche anticostituzionali e padronali (due facce della stessa medaglia). Ma, come giustamente rileva Andrea Folchitto, ciò (questo pericolo eversivo così pressante) non ha nulla a che fare con il dibattito sulle elezioni regionali, che va invece affrontato con l’atteggiamento di esclusivo interesse ai contenuti e ai programmi che prima provavo a delineare.
A Valerio Marletta e ad altri compagni siciliani che hanno scritto in questi giorni, giustamente contrari all’idea che in Sicilia il partito si possa trovare alleato all’Udc di Cuffaro, rispondo semplicemente che in Sicilia non ci sono le elezioni regionali e dunque questa ipotesi non è nemmeno nominabile e praticabile sul terreno delle congetture; e che le parole che il nostro partito ha detto (a livello nazionale come in Sicilia) circa l’indisponibilità a costruire alleanze senza un profilo morale adeguato mi rassicurano appieno.
A Stefano Rognoni, che sostiene che si voglia mettere il silenziatore al dibattito sulle alleanze, dico che questo moltiplicarsi di articoli e di prese di posizione (anche e, direi, in primo luogo da parte di quelli che si vorrebbero – con un atteggiamento davvero fastidioso – additare come riformisti e contro-rivoluzionari) è la smentita più perentoria ai suoi timori.
Ciò che ho sostenuto è un’altra cosa. E cioè che noi possiamo pure parlarne all’infinito (e facciamo bene a farlo) ma: a) attenzione a non scambiare la nostra conferenza, che abbiamo convocato per rimettere in piedi e rilanciare una struttura lasciata dagli ultimi anni di «bertinottismo» sull’orlo del collasso, per un referendum sul tema degli accordi; b) attenzione a non scambiare la nostra conferenza per il congresso del partito (che è il soggetto, al contrario nostro, che decide se fare gli accordi o meno); c) attenzione a chi alza grandi polveroni solleticando la nostra comune e diffusa insofferenza nei confronti del Pd per nascondere la propria proposta politica in merito alla riorganizzazione dei Gc; d) attenzione, nella critica agli accordi, a non scivolare in un estremismo infantile (Lenin, non Bernstein) che confonde il comune di Pizzighettone per l’Italia o la Regione Umbria per l’Unione Europea e che quindi risponde ideologicamente – senza considerare le diversità di competenze tra una Regione e uno Stato, tra un Comune e una Provincia; e senza considerare le diversità di approccio dello stesso centro-sinistra nelle diverse realtà territoriali – ad un sacrosanto bisogno di autonomia (in primo luogo di analisi e di giudizio) nei confronti delle forze moderate.
A Luca Di Lello, che denuncia una nostra presunta concezione “verticistica” del partito, secondo la quale i militanti sarebbero capaci soltanto di fare gli attacchini, dico che probabilmente la critica andrebbe rivolta proprio alla ristretta cerchia di coloro i quali – secondo una concezione “avanguardistica” della politica – hanno scritto in pochi giorni un documento alternativo senza minimamente discuterlo e condividerlo nei territori e tra gli iscritti.
A Margherita Colella (rappresentante di Falcemartello nella commissione nazionale per la conferenza), che elegantemente sostiene che saremmo, nell’ordine, incoerenti, ambigui, doppi, responsabili del fallimento dei Gc negli ultimi anni, retorici, codardi, servi delle nostre correnti, aleatori e opportunisti, rispondo infine che è davvero difficile districarsi tra così tanti complimenti!
Simone Oggionni

Le risposte e i commenti al mio contributo sul tema delle alleanze sono stati tali e tanti da rendere necessaria una ulteriore puntualizzazione, incentrata in maniera esclusiva, come è ovvio, sulle note critiche e di dissenso.Matteo Amatori sostiene due cose secondo me molto interessanti. In primo luogo ci ricorda che il conflitto sociale e l’iniziativa di massa sono centrali. In secondo luogo che l’efficacia e la credibilità di un partito (a maggior ragione di un partito comunista) si misura innanzitutto con la sua capacità di essere coerente tra ciò che promette e i fatti che produce. Condivido pienamente: è per questo che – lo ripeto – il tentativo di ridurre un dibattito così articolato come quello che ci aspetta alla prossima conferenza ai meri assetti istituzionali del partito è un tentativo deprimente, che disvela tutta la nostra subalternità ad una logica elettoralistica e, appunto, istituzionalistica. Invece, prima, viene il conflitto sociale e la capacità di produrre consenso a partire dalle lotte che conduci e dalle vertenze che determini.Sulla coerenza tra le promesse e i fatti (che Matteo dice Rifondazione abbia abbandonato più volte, sia nell’esperienza del governo Prodi, sia nel passaggio da Chianciano ad oggi): proviamo a ragionare con attenzione. Rifondazione (tutta la sinistra) ha tradito la fiducia del suo popolo condividendo con il centro-sinistra politiche anti-sociali e politiche di guerra aberranti. L’errore di fondo (che spesso viene dimenticato anche nelle numerose autocritiche a cui ciclicamente assistiamo) fu quello di non vincolare la nostra partecipazione a quel governo ad impegni programmatici precisi. Si scelse di non contrattare il programma e, in nome di una logica pregiudiziale e ideologica, di costruire a qualunque costo prima l’Unione e poi il governo. Gli esiti sono stati, come ben ricordava Matteo, catastrofici. Ma la stessa categoria di «incoerenza» non può essere utilizzata per il Prc degli ultimi mesi. A Chianciano siamo stati chiari e, su quelle premesse, abbiamo costruito la linea politica di questo ultimo anno. Una linea – rimasta intatta anche in seguito al congresso del Pd – fondata sull’autonomia e l’alternatività rispetto a quel partito e dunque sulla intransigente indisponibilità a qualsiasi nuovo accordo di governo. Una linea che, al contempo, non è mai stata di indisponibilità a discutere programmaticamente a livello locale (dai quartieri delle grandi città alle Regioni) oppure di insensibilità rispetto alla tenuta democratica del nostro Paese. Questa è sempre stata, tradizionalmente, la linea di Falcemartello (giusto, Margherita?), e cioè del 3,2% del partito (all’ultimo congresso). Non della sua maggioranza e men che meno del partito nel suo complesso.In questo senso non mi pare «incoerente» la scelta del partito di discutere di volta in volta le alleanze per le elezioni regionali né quella di aprire ad una prospettiva di accordo sulla legge elettorale proporzionale e sulla legge sul conflitto d’interesse. Il compagno che utilizza il profilo dei Gc di Messina introduce un’ulteriore argomentazione: dato che il nostro peso è ai minimi storici, la nostra capacità di rendere il Pd permabile alle nostre istanze è pari a zero. Questo è un rischio reale, è inutile girarci intorno. Il problema è però che non ce la caviamo dicendo che dato che non contiamo più niente allora la soluzione è disinteressarci completamente del livello istituzionale e ridurci a fare opera di testimonianza e di resistenza (a livello sociale come a livello culturale). Il punto è che per fare pressione e per rendere minimamente utile la nostra ridottissima presenza istituzionale (anche nelle giunte locali) serve il massimo possibile della lotta politica e della nostra presenza nei movimenti e nei conflitti! È per questo che trovo paradossale che il nostro partito si rianimi (è questa la realtà di tanti nostri circoli o comitati politici federali) soltanto in coincidenza delle discussioni sugli assetti istituzionali, nelle riunioni in cui si decide chi fa (o non fa) l’assessore o il consigliere! Quello che vorrei evitare è che anche i Giovani Comunisti facessero questa fine, disimparando a parlare di noi e dei nostri compiti (della nostra presenza nelle lotte operaie, tra gli studenti, nei luoghi di lavoro e di socializzazione della nostra generazione) e imparando a scimmiottare il partito adulto nella discussione tutta politicista sugli assessori e le alleanze!Nessun programma potrà mai reggere, soprattutto in questa fase di profonda debolezza del Prc e della sinistra tutta, se non saremo in grado di costruire nel Paese lotte grandi ed estese. Ed il fatto che queste siano riapparse con prepotenza negli ultimi mesi è un segnale di speranza, che ci fa guardare con un po’ più di ottimismo anche ai confronti programmatici nelle regioni in cui si andrà a votare. Oscar Monaco sostiene – evidentemente riferendosi all’intervista di Ferrero, e non certo al mio articolo – che il parallelo con il Cln sarebbe improprio. Penso che abbia ragione sul piano strettamente storico (i contesti sono imparagonabili, per molti motivi, e dunque il parallelo è storiograficamente grossolano) ma meno sul piano politico. L’idea del Cln indica la necessità di individuare un «avversario principale» contro il quale coalizzare le forze interessate, in quella precisa contingenza, ad opporvisi in nome della democrazia. Ed è a mio avviso proprio quello che dobbiamo fare contro Berlusconi e le sue politiche anticostituzionali e padronali (due facce della stessa medaglia). Ma, come giustamente rileva Andrea Folchitto, ciò (questo pericolo eversivo così pressante) non ha nulla a che fare con il dibattito sulle elezioni regionali, che va invece affrontato con l’atteggiamento di esclusivo interesse ai contenuti e ai programmi che prima provavo a delineare.A Valerio Marletta e ad altri compagni siciliani che hanno scritto in questi giorni, giustamente contrari all’idea che in Sicilia il partito si possa trovare alleato all’Udc di Cuffaro, rispondo semplicemente che in Sicilia non ci sono le elezioni regionali e dunque questa ipotesi non è nemmeno nominabile e praticabile sul terreno delle congetture; e che le parole che il nostro partito ha detto (a livello nazionale come in Sicilia) circa l’indisponibilità a costruire alleanze senza un profilo morale adeguato mi rassicurano appieno.A Stefano Rognoni, che sostiene che si voglia mettere il silenziatore al dibattito sulle alleanze, dico che questo moltiplicarsi di articoli e di prese di posizione (anche e, direi, in primo luogo da parte di quelli che si vorrebbero – con un atteggiamento davvero fastidioso – additare come riformisti e contro-rivoluzionari) è la smentita più perentoria ai suoi timori.Ciò che ho sostenuto è un’altra cosa. E cioè che noi possiamo pure parlarne all’infinito (e facciamo bene a farlo) ma: a) attenzione a non scambiare la nostra conferenza, che abbiamo convocato per rimettere in piedi e rilanciare una struttura lasciata dagli ultimi anni di «bertinottismo» sull’orlo del collasso, per un referendum sul tema degli accordi; b) attenzione a non scambiare la nostra conferenza per il congresso del partito (che è il soggetto, al contrario nostro, che decide se fare gli accordi o meno); c) attenzione a chi alza grandi polveroni solleticando la nostra comune e diffusa insofferenza nei confronti del Pd per nascondere la propria proposta politica in merito alla riorganizzazione dei Gc; d) attenzione, nella critica agli accordi, a non scivolare in un estremismo infantile (Lenin, non Bernstein) che confonde il comune di Pizzighettone per l’Italia o la Regione Umbria per l’Unione Europea e che quindi risponde ideologicamente – senza considerare le diversità di competenze tra una Regione e uno Stato, tra un Comune e una Provincia; e senza considerare le diversità di approccio dello stesso centro-sinistra nelle diverse realtà territoriali – ad un sacrosanto bisogno di autonomia (in primo luogo di analisi e di giudizio) nei confronti delle forze moderate.A Luca Di Lello, che denuncia una nostra presunta concezione “verticistica” del partito, secondo la quale i militanti sarebbero capaci soltanto di fare gli attacchini, dico che probabilmente la critica andrebbe rivolta proprio alla ristretta cerchia di coloro i quali – secondo una concezione “avanguardistica” della politica – hanno scritto in pochi giorni un documento alternativo senza minimamente discuterlo e condividerlo nei territori e tra gli iscritti.A Margherita Colella (rappresentante di Falcemartello nella commissione nazionale per la conferenza), che elegantemente sostiene che saremmo, nell’ordine, incoerenti, ambigui, doppi, responsabili del fallimento dei Gc negli ultimi anni, retorici, codardi, servi delle nostre correnti, aleatori e opportunisti, rispondo infine che è davvero difficile districarsi tra così tanti complimenti!
Simone Oggionni