di Matteo Iannitti Tra qualche giorno ci metteremo in viaggio. Alcuni metteranno sveglie che non sentiranno, altri consapevolmente le spegneranno. Partiremo comunque più tardi dell’orario previsto. Un giro tra le vie deserte delle città di agosto per recuperare qualche compagno. E poi l’autostrada per Sapri. Arriveremo più tardi di quanto previsto, dall’alto ammireremo il golfo e sulle rive del mare proveremo rabbia e delusione. Infatti mancheranno ancora alcuni chilometri per il campeggio. Poi vedremo sventolare le bandiere rosse. Interromperemo con un po’ di sollievo e un po’ di malinconia i nostri infiniti discorsi sui massimi sistemi e parcheggeremo. Pronti per una settimana di politica. Politica con la P maiuscola. Quella delle sveglie alle 11,30, delle sbronze al bar, dei baci in spiaggia, delle briscole in cinque. La politica delle chiacchierate interregionali, intercorrentizie, interpartitiche. Tutto nel nome dell’unità.
E parleremo di Fini, di Berlusconi, della disoccupazione e della precarietà. Parleremo male del PD, ci interrogheremo su Grillo, litigheremo su Vendola. E poi discuteremo delle cose serie: gli equilibri dentro le nostre organizzazioni, le dichiarazioni di qualche illustre sconosciuto, il comunicato stampa mai pubblicato di un qualsiasi autoproclamato leader. Tutto nel nome della litigiosità comunista.
Eppure potrebbe essere un po’ diverso. Piuttosto che giocare a fare i grandi strateghi, i leader carismatici o i portatori di verità assolute ed incontrovertibili potremmo tentare di interrogarci sulla nostra generazione. Una generazione massacrata dalla precarietà e dall’incertezza, dalla devastazione ambientale e dalla guerra. Una generazione che ha riscoperto l’emigrazione, dal sud al nord, dal nord all’estero. Una generazione che sperimenta la povertà, economica ed emotiva. Una generazione indefinita e forse indefinibile cresciuta in pieno berlusconismo. Capace di comunicare solo attraverso la tecnologia e nella solitudine di una tastiera di cellulare o di computer. Una generazione o sola o emulatrice, assolutamente non creativa e mai innovatrice. Rassegnata o imitatrice condannata alla mercificazione dal dogma dell’apparire, a tutti i costi. Una borsa prodotta in serie con materiale scadente che resta nell’anonimato di uno scaffale di un negozietto cinese oppure porta con profonda inadeguatezza il simbolo di una grande marca. Una generazione che trova il riscatto nelle foto seminude pubblicate su facebook e che sceglie il mutismo emotivo. Una generazione che tuttavia conserva isolati ed in via d’estinzione i germi della ribellione, della voglia di riscatto, di evasione, di trasgressione. Una generazione che comunque ha prodotto l’Onda e una miriade di conflitti territoriali. Un barlume di vita nel deserto emotivo di chi è nato dalla fine degli anni 80 in poi.
Di questa generazione e di questa piccola fetta che resiste noi dovremmo discutere a Sapri. Partendo da zero. Senza preconcetti, senza paraocchi, aperti a qualsiasi visione e disponibili a qualsiasi conclusione. Non l’abbiamo mai fatto davvero. Discutendo dei giovani comunisti troppe volte ci siamo ritrovati a dissertare sui comunisti, abbandonando, anche noi che giovani lo siamo, una seria riflessione su cosa significa essere giovani oggi.
Perché si dovrebbe scegliere la militanza politica? Perché bisogna essere ancora rivoluzionari? Perché comunisti? E soprattutto quale prospettiva esiste, quale progetto? Da cosa si dovrebbe essere attratti ed a che pro?
Solo guardando la nostra generazione per intero potremo rispondere a queste domande e solo rispondendo a queste domande potremo essere utili alla nostra generazione, appassionarla, coinvolgerla, cambiarla.
Non esistono analisi o risposte semplici e solo chi eccede in arroganza può pensare di avere ricette pronte e soluzioni in mano. Ma a Sapri si incontreranno tante intelligenze, tante esperienze, tante differenti sperimentazioni di azioni sociali e politiche. Solo a Sapri avremo l’opportunità di cominciare a sciogliere questa ingombrante e onerosa matassa.
E mentre disserteremo, se ne avremo la volontà e il coraggio, sulla normalizzazione del fenomeno della precarietà, sull’aumento esponenziale del consumo di droghe letali, sull’attrattiva di talk show e reality e se vogliamo su una musica fatta di cantanti stonati, band strapagate e artificiali o musicanti neomelodici sponsorizzati da mafia e camorra, potremo anche guardare al nostro interno. Perché se è vero che troppo spesso ci sentiamo da soli a combattere contro i mulini a vento è anche vero che esistiamo e non possiamo autoescluderci da un ragionamento generazionale complessivo.
E noi chi siamo? Cosa vorremmo rappresentare? Con chi vorremmo interloquire? Perché essere oggi giovani e comunisti? Non possiamo permetterci di rispondere a queste domande con la solita sterile retorica sul conflitto di classe, la precarietà, la democrazia. Non c’è dubbio Marx e i marxisti sono oggi più che mai attuali. Ma basta avere ragione per aggregare e costruire l’alternativa? Abbiamo la dimostrazione plastica dell’esatto contrario. E quindi non possiamo fare a meno di riflettere profondamente sul nostro approccio alla politica, alla nostra generazione, alla società intera.
Proprio perché abbiamo ragione come mai dobbiamo apparire come reduci, superstiti, sconfitti? Come mai dobbiamo ostinarci a camminare con la testa girata all’indietro? Sembriamo aver delegato ai grandi leader del passato il compito di creare un immaginario, una prospettiva, la proposta politica. Lo facciamo per riverenza o per pigrizia, per convinzione o per convenienza, coscientemente o per incapacità? Solo noi possiamo invertire la tendenza e renderci attuali e credibili. Con le nostre facce, senza prenderne in prestito altre ormai estinte.
Non credo che i nostri cari dirigenti nazionali con i capelli bianchi possano risollevare le sorti di una sinistra non più credibile, rassegnata e perdente. Non perché sono brutti, sporchi e cattivi ma perché sono stati complici o inermi osservatori della devastazione della sinistra italiana. Hanno giocato le loro carte e hanno perso. Ma noi, noi che siamo le prime vittime delle loro sconfitte ma che ancora non abbiamo pienamente preso parte alla partita, noi che più di chiunque altro sperimenteremo la cattiveria del neoliberismo, noi che possiamo difendere ben poco ma che abbiamo tanto da guadagnare. Noi potremmo metterci in gioco senza dire nessun grazie e senza chiedere alcun consiglio. E non vedo alcuna arroganza in questo: non chiederei mai consigli sulle rotte all’equipaggio del Titanic.
A Sapri piuttosto che litigare sul passato potremmo discutere del nostro futuro.
Discutere di come creare una struttura politica capace di rispondere alle esigenze della nostra generazione, di denunciare le nefandezze di una classe politica trasversalmente fallimentare, capace di stupire e affascinare.
Discutere dell’unità a sinistra, dell’internità ai movimenti, dell’azione sociale, delle nostre esperienze di lotta.
La cosa più straordinaria che potrebbe accadere a Sapri sarebbe un risveglio collettivo dal torpore nel quale ci siamo inabissati. Un risveglio che ci regali un po’ di ottimismo e ci faccia tornare l’entusiasmo di dedicare le nostre esistenze al cambiamento e alla politica.
Buon campeggio a tutte e tutti.
MATTEO IANNITTI
Coordinatore Giovani Comuniste/i Catania, Coordinamento nazionale GC
22 Agosto 2010