Ripartire dal lavoro per una sinistra che guarda al futuro

Le cifre pubblicate dall’Istat nei giorni scorsi sulla disoccupazione giovanile nel nostro Paese sono da allarme rosso ed è bene riportarle e diffonderle il più possibile, perché sono la base oggettiva di ogni ragionamento politico. 28 giovani su 100 tra i 15 e i 24 anni sono disoccupati. Tre punti percentuali in più del rilevamento, già preoccupante, dell’anno scorso. Addirittura in sei regioni (Sardegna, Sicilia, Basilicata, Campania, Puglia, Calabria e Lazio) la percentuale supera il 30%. In Sardegna il tasso di giovani disoccupati è addirittura del 44,7%.

Se prendiamo in esame l’intero quadro europeo (precisamente le 271 regioni dei Paesi europei, analizzate per il 2008), troviamo ben quattro regioni italiane (Campania, Basilicata, Sicilia e Calabria) tra le ultime dieci europee per tasso di occupazione giovanile.

Per non parlare del tasso di abbandono scolastico (tra il 5% annuo dell’Umbria e il 17% della Sicilia) e del lavoro sommerso, che spesso diventa lo sbocco obbligato per chi lascia la scuola perché costretto a guadagnare per integrare il bilancio familiare. Anche su questo le cifre dell’Istat sono inequivocabili: al Sud il tasso di irregolarità del lavoro è sopra il 20% (in Calabria il 27,3%).

Queste cifre – dicevamo – costituiscono il punto di partenza obbligatorio per qualunque ragionamento politico. Sia sul terreno delle politiche del lavoro, sia sul terreno più complessivo delle politiche sociali che una forza di sinistra dovrebbe avanzare per tornare a dialogare con le nuove generazioni.

Che futuro ha una sinistra che non fa politica a partire dalla condizione materiale di una generazione a cui questo sistema economico (e nella fattispecie: quindici anni di legislazione scriteriata, la crisi economica, una cultura liberista che ha inculcato il primato dell’impresa e del profitto e sradicato il valore dei diritti) ha letteralmente sottratto il futuro?

Per questo diventano determinanti le nostre analisi, le nostre proposte politiche e le nostre azioni, anche in relazione alle altre forze sociali e politiche che con noi dovrebbero costruire tasselli di trasformazione. Ci riferiamo innanzitutto alla Cgil, il cui recente congresso ha approvato una piattaforma rivendicativa convincente e che fa del sindacato ad oggi la più grande organizzazione di massa impegnata in una lotta per l’occupazione e il lavoro stabile e sicuro.

A costo di essere ripetitivi, dobbiamo però guardare in casa nostra e riordinare le idee, costruendo una campagna sul lavoro giovanile intorno a tre parole d’ordine: lavoro per tutti, lotta alla precarietà, salario sociale.

L’idea guida è che lo Stato debba riacquisire il ruolo di garante dell’esigibilità del diritto costituzionale al lavoro e possa farlo soltanto attraverso un suo intervento diretto volto a orientare l’economia e la produzione e al contempo ad assicurare livelli di occupazione più europei (la stessa Istat rileva una discrepanza di quasi 8 punti percentuali tra il tasso di disoccupazione giovanile italiano e la media europea), attraverso la nazionalizzazione delle aziende in crisi e attraverso la creazione diretta (nel campo della ricerca e della formazione, della cultura, del turismo, dell’innovazione tecnologica) di nuovi posti di lavoro, in sintonia con la crescita della diffusione dei titoli di studio universitari.

Al contempo, il lavoro deve essere stabile e a tempo indeterminato, forma contrattuale che deve tornare anche sul piano legislativo a costituire la norma a partire dalla quale costruire eccezioni (e non viceversa), contrastando la legge 30 e chiedendone l’abrogazione anche attraverso una proposta di referendum di iniziativa popolare da affiancare a quello sull’acqua pubblica.

E infine, per avanzare una risposta tangibile contemporaneamente al dramma della disoccupazione e a quello dei bassi salari (gli ultimi dati Ocse confermano che i salari italiani sono più bassi anche di quelli greci, con un valore del 16,5% inferiore alla media europea), il salario sociale per tutti i giovani usciti dal ciclo della formazione e che faticano ad inserirsi in quello della produzione e per tutti i disoccupati di lungo periodo (sopra i 12 mesi). Un salario mensile (da sostenere finanziariamente con il prelievo fiscale, la tassazione delle rendite e delle speculazione finanziarie, oltre che con l’introduzione di una tassazione patrimoniale) che produrrebbe, oltre ad una redistribuzione della ricchezza complessiva, anche l’innalzamento generale dei livelli salariali, come dimostra il reddito di inserimento francese.

I Giovani Comunisti sono e devono essere in prima fila, ma è necessario il coinvolgimento e il contributo di tutto il partito e della Federazione della Sinistra.

Proviamo a ritornare a parlare di queste cose? E a misurare il nostro grado di lontananza e vicinanza dalle altre forze politiche (e sociali, come nel caso della Cgil) da queste cose di gran lunga decisive? Il nostro appello è a rimettere il lavoro in cima alle priorità della nostra agenda politica. Perché l’impressione è che buona parte dei nostri mali nasca da qui, dall’incapacità di parlare di ciò che tocca (e trasforma, e a volte rende impossibile) la vita quotidiana di milioni di lavoratori, in primo luogo dei giovani.

SIMONE OGGIONNI – Portavoce nazionale Gc

18 Maggio 2010