Albania e Italia: tra solidarietà ed integrazione

L’irruzione della pandemia di Coronavirus in tutto il mondo lascerà probabilmente segni profondi sull’economia internazionale. Una nuova crisi si prospetta all’orizzonte e anche il nostro Paese sembra essere in attesa della nuova fase che si schiuderà. Oppure no: potremmo assistere ad un ulteriore rafforzamento delle destre e ad una presenza nuovamente asfissiante delle politiche neoliberiste. In questo scenario però, l’Italia dei balconi, del tricolore e della musica sembra aver dimenticato l’agenda politica di pochi mesi fa, quando era l’immigrazione a far discutere.

Mentre attraversiamo questa strana primavera, la pandemia sembra aver cancellato i migranti; se ne parla poco, pochissimo, mentre diverse imbarcazioni continuano a partire dalle coste libiche e perfino le tensioni sulla rotta balcanica tra Grecia e Turchia sono passate in secondo piano. Eppure la solidarietà espressa da un paese piccolo e in via di sviluppo come l’Albania ha mostrato che si può invertire la rotta nel dibattito pubblico sul tema dell’immigrazione.

“Anche laggiù è casa nostra. Noi non siamo ricchi, ma neanche privi di memoria. Non possiamo permetterci di non dimostrare all’Italia che gli albanesi e l’Albania non abbandonano l’amico in difficoltà”  ha affermato il premier Edi Rama, congedando i trenta medici e infermieri che sono giunti nel nostro Paese per sostenere la lotta contro il virus. Trenta lavoratori della sanità, come trenta sono gli anni in cui le storie di Albania e Italia si sono profondamente legate.


In realtà le origini del contatto tra la nostra penisola e la terra albanese risalgono all’alba dei tempi: dai contatti tra Illiri e popolazioni magno greche, fino allo stanziamento in Italia delle comunità arbëreshë nel XV secolo in decine di località fra Puglia, Calabria e Sicilia. Un’emigrazione conseguente all’avanzata turco-ottomana nei Balcani (oggi alleati NATO, per inciso); senza dimenticare l’amicizia e l’alleanza addirittura militare fra Gjergj Kastriota (conosciuto come Skënderbeu e che, in seguito, divenne l’eroe nazionale albanese) e Ferdinando I di Napoli al fine di limitare la minaccia angioina.

Come un scherzo della storia, agli albori degli anni ’90, il centro-sud e la Puglia in particolare, si sono ritrovati ad essere il porto d’arrivo di cittadini albanesi in fuga dalla guerra e dalla crisi economica verificatesi alla fine del socialismo. Sono memorabili le immagini dell’8 agosto 1991 della nave “Vlora” stracolma di uomini e donne nel porto di Bari. La potenza evocativa di quell’immagine, tuttavia, non può far dimenticare che l’accoglienza riservata dal governo di allora – in contrasto con la città di Bari – fu altamente repressiva, finalizzata unicamente al rimpatrio e condita dal confino dei migranti nello “Stadio della Vittoria”, quasi una parafrasi della repressione cilena di Pinochet. E non bisogna neppure dimenticare che negli anni seguenti l’immigrazione albanese divenne una costante, che tanti furono gli sbarchi, che “albanese” rappresentò quasi un insulto e che gli albanesi ben presto divennero il bersaglio di turno su cui addossare quelle offese che regolarmente non sono risparmiate agli immigrati in generale. Nel 1997 la Marina Militare Italiana fu responsabile dello speronamento della “Katër i Radës”, una carretta del mare il cui naufragio costò la vita ad 81 albanesi.

Fu da quel momento che tante cose cambiarono e che si mise in campo un vero processo d’integrazione nel tessuto economico e sociale dei due popoli da sempre vicini e fratelli.

Oggi tra Albania e Italia si sono sviluppate relazioni economiche e commerciali solide, segnate anche da lati oscuri e speculativi – l’esternalizzazione della manodopera dei call center e i tentativi di localizzazione innanzitutto. Dal punto di vista sociale, invece, la comunità albanese è perfettamente integrata: generazioni di italiani sono cresciute con altrettante generazioni di albanesi, incontrandone i costumi, le tradizioni, la lingua. Sono svariati gli episodi di solidarietà affiorati tra i due Paesi, ultimo, ma non da meno, il soccorso offerto dall’Italia lo scorso novembre in occasione del tragico terremoto che ha colpito il paese delle aquile.

La solidarietà giunta all’Italia in questo preciso contesto segna solo una nuova tappa nel rapporto italo-albanese, inserendosi in una serie di dimostrazioni di sostegno e supporto giunte da Cina e Cuba, altri due Paesi che troppo spesso vengono dipinti in maniera spregiativa e connotati da luoghi comuni. Albania, Cina e Cuba hanno fatto materialmente più di quanto stia facendo l’Unione Europea per noi. Un dato su cui dovremmo riflettere, ma soprattutto una narrazione che dovremmo fare nostra per stroncare la retorica reazionaria sull’immigrazione e mostrare un altro mondo possibile.

Vincenzo Colaprice – responsabile esteri GC

Giada Galletta – coordinamento nazionale GC