Disparità sociali e alimentari: riflessioni sul cibo di fine anno

Ogni anno il cibo torna ad essere sulla bocca di tutti, in tutti i sensi. Dalle cene natalizie delle persone senza fissa dimora alle cene ricchissime dei ristoranti da 600 € a persona. Ma evidentemente il cibo non è lo stesso, qualcuno a Natale dovrà accontentarsi di mangiare del brodo poco saporito, qualcun altro invece potrà sperimentare la creatività di un bravo cuoco assaggiando una prelibatezza. Questa disparità, nel nostro Paese, ma anche nel resto del mondo è destinata ad aumentare: si è stimato che i consumi alimentari italiani di fine anno saranno di 2 miliardi di euro in più rispetto allo scorso anno e contemporaneamente secondo le statistiche sono 300 mila i poveri in più dal 2016 ad oggi. Quindi ci saranno sempre più persone in grado di spendere per mangiare bene e sempre più persone che per Natale dovranno accontentarsi di un pasto offerto dalla Caritas.

Quindi quel cibo diventa un importante marcatore sociale, un evidente simbolo di disparità all’interno della società, che ci ricorda che la democrazia nel sistema economico e politico attuale è sempre più sottile e labile.

Se per qualcuno questa evidente differenza è poco significativa, per me non può essere così. Perché pensare che il piacere di un buon pasto, cucinato non per sfamare ma per stimolare piacere gustativo sia solo un diritto di chi se lo può permettere, è un pensiero drammaticamente borghese e classista. L’estetica del gusto deve essere per tutti. Il buon cibo deve essere per tutti. Questa insalata di polpo avrei voluto farla mangiare a tutti.

Marco Cassatella – Coordinamento Nazionale GC