Ancora bombe su Gaza

Gaza vive una nuova escalation di tensione in seguito ad un presunto missile lanciato dalla Striscia nella mattinata del 25 marzo. La risposta di Tel Aviv non si è fatta attendere. Prontamente l’aviazione israeliana ha colpito con decine di raid 15 target nel nord del territorio palestinese ed altre strutture di Hamas a Deir al-Balah. A nulla è servito il cessate il fuoco annunciato da Hamas per le 22 ora locale. Infatti, contemporaneamente alle esplosioni sul suolo palestinese, l’ultimo razzo lanciato verso il sud dello stato ebraico e prontamente intercettato dai dispositivi israeliani è stato registrato alle 3:15 del mattino.

Secondo quanto affermato da Jihad e Hamas, il razzo che nella giornata di ieri ha colpito una casa a Mishmeret ad est di Tel Aviv causando sette feriti non sarebbe legato ad alcuna organizzazione palestinese. I due movimenti islamici infatti non hanno rivendicato l’attacco ed hanno deciso di aprire un’inchiesta per certificare l’accaduto; al contrario la Knesset in accordo con i servizi segreti non ha dubbi sulla matrice dell’azione affermando che Hamas e Jihad sarebbero gli unici a possedere razzi di simile gittata. La tensione resta alta e la situazione controversa. Il Primo ministro israeliano ha lasciato gli Stati Uniti alle due del mattino ora israeliana per monitorare la situazione e promettendo una dura risposta.

Le elezioni parlamentari del 9 aprile sono alle porte e Netanyahu è in calo di consensi rispetto ai suoi competitors. Il leader della lista centrista negli ultimi giorni ha più volte attaccato il Primo Ministro in materia di difesa, seguito dal laburista Avi Gabbay. Quando Gaza si è detta pronta ad accettare il cessate il fuoco Netanyahu ha imposto le sue assurde condizioni. Fonti palestinesi riferiscono della richiesta da parte israeliana della fine della marcia del ritorno e di ogni genere di protesta come presupposto per fermare i raid: inutile menzionare la risposta ricevuta. Il tenore politico e propagandistico delle richieste di Tel Aviv arriva proprio all’indomani del regalo fatto da Donald Trump agli israeliani. Il Presidente americano dopo il riconoscimento di Gerusalemme come capitale dello stato ebraico, ha infatti deciso di consegnare ad Israele le alture del Golan, appartenenti al territorio siriano ma dal 1967 illegalmente occupate dall’esercito di Tel Aviv. Non siamo di certo amanti della cultura del sospetto, ma la donatio americana, il missile gazawi non intercettato dal sistema difensivo Iron Drome e non rivendicato da nessuno, e le assurde richieste per il cessate il fuoco, ci fanno sempre più pensare che il prossimo scontro si possa giocare nelle cabine elettorali piuttosto che sul campo.

Intanto chi subisce le spese del fondamentalismo ebraico e di una comunità internazionale sempre più sorda ed incapace di reagire al decisionismo americano continuano ad essere i civili palestinesi, i quali non solo hanno subito la perdita di 255 compagni e compagne di resistenza, ma ora rivivono la paura di una nuova offensiva.

Pietro Pasculli – Giovani Comunisti/e