Vostre le guerre, nostri i morti! A proposito del corteo contro il G7 dei ministri degli esteri a Lucca

A proposito del corteo contro il G7 dei ministri degli esteri a Lucca, a cui è seguita una vergognosa e ingiustificata repressione (leggi anche qui La condanna dell’europarlamentare del PRC Forenza) pubblichiamo la condivisibile riflessione di una compagna che era presente.

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Dapprima i fatti.
Lunedì 10 aprile, una Lucca militarizzata fin dalla mattina, con diverse camionette a decine di poliziotti e carabinieri in assetto antisommossa a blindare l’accesso al centro storico della città.

Il concentramento del corteo contro il vertice dei ministri degli esteri -promosso dal Coordinamento Lucca contro il G7- è in Piazzale Don Baroni, accanto al centro di prima accoglienza della Croce Rossa. Un luogo simbolico, dunque, vista la giornata, scelto per evidenziare il legame diretto tra le dinamiche imperialiste, portate avanti da anni dai sette più potenti del mondo, ed i flussi migratori, entrambi funzionali alle logiche del capitalismo a tutto discapito delle migliaia di donne e uomini che ogni anno rischiano la vita pur di scappare dalle guerre e dalla povertà che questi “signori” hanno portato nei loro Paesi.

Alle 17 il corteo, composto da circa 600 persone, parte con determinazione dietro allo striscione “Le vostre le guerre, la nostra resistenza”.

Arrivato a Porta San Jacopo lo spezzone di testa del corteo, a viso scoperto, prova a violare la zona rossa ed entrare nelle mura della città, dietro ad una provocatoria rete da polli; ad attenderlo polizia e carabinieri in antisommossa che battono manganelli sopra ai propri scudi, come ad incitare la colluttazione. La carica di risposta non si fa attendere, facendo indietreggiare i manifestanti.

A questo punto, ripetendo un modus operandi a cui ormai, dai fatti di Napoli a quelli Bologna, il ministro Minniti ci sta tristemente abituando, i reparti della celere dietro al corteo iniziano a caricare alle spalle lo spezzone di coda, che non aveva nemmeno preso parte all’azione, e a rincorrerlo a manganelli spianati per centinaia di metri, caricando gratuitamente, ferendo diversi manifestanti e facendo dei fermi. Tra i feriti figura persino una passante in sedia a rotelle e non è stata risparmiata neppure la stampa.

Il corteo, ormai dimezzato, prosegue verso la stazione, dove, in solidarietà ai cinque compagni fermati, mantiene un blocco stradale fino al loro rilascio, per poi congedarsi.

E’ incredibile constatare ancora una volta che, in nome di un poco chiaro concetto di sicurezza nazionale si assiste a una riduzione progressiva degli spazi democratici e di manifestazione del proprio dissenso. Come avvenuto a Roma lo scorso 25 marzo la polizia ha diviso e disperso il corteo. A proposito di provocazioni allora viene da chiedersi, chi è che provoca? chi è che alza il livello di tensione?

Alcune considerazioni.

L’occasione del meeting tra i responsabili degli Esteri di Stati Uniti, Canada, Giappone, Germania, Gran Bretagna, Francia e Italia, oltre all’Alto rappresentante della Ue, è stata dichiaratamente un momento per parlare di Siria, dei rapporti con la Russia, con la Cina e delle “minacce atomiche” della Corea del Nord. Del futuro del mondo, in pratica.

Non a caso erano invitati anche, per una riunione collaterale allargata, i ministri degli Esteri di Turchia, Arabia Saudita, Qatar, Emirati Arabi e Giordania. Tutti Paesi già noti per la loro complicità nella carneficina che si consuma in Medio Oriente, per i bombardamenti sui civili e per i finanziamenti a formazioni jihadiste come l’Isis.

Ecco che in un tale contesto, la retorica di divisione “buoni/cattivi” tra i manifestanti non può sussistere. O almeno non può farlo nella solita ottica della mera condanna della violenza di piazza in quanto tale, perché il contrario delle loro guerre non è il pacifismo passivo, ma il cominciare a fare la guerra a chi ci opprime, con tutti i mezzi che abbiamo a disposizione.

In questo senso credo che quella di lunedì sia stata una delle prime mobilitazioni di un rinascente movimento pacifista nel nostro Paese, avvenuta a soli tre giorni di distanza dal bombardamento americano della base aerea siriana, a cui i servili leader europei non hanno esitato a dare il loro sostegno.
Il primo passo dunque verso un movimento pacifista e antiliberista che deve essere ricostruito, un movimento che non solo si opponga alla guerra del capitale, che ma rivendichi e costruisca la possibilità di una vita degna per tutte e tutti.

Anche se sappiamo bene che ciò non sarà facile; ad un preoccupante contesto internazionale si affianca infatti un’acuimento della repressione dei conflitti e dei dispositivi di controllo volti a fare da deterrente a qualsiasi moto di protesta, del quale il Decreto Minniti rappresenta solo la punta dell’iceberg.

A Lucca infatti lo Stato ha buttato giù la maschera e ha mostrato il volto della feroce repressione del dissenso rispetto ad un corteo composto per la maggior parte da studenti, centri sociali e movimenti per la casa, quelle stesse realtà dipinte come i pericolosi disturbatori del decoro urbano e che invece rappresentano oggi la parte migliore di questo Paese.

Così come intimidatori sono stati i fermi avvenuti durante la notte ai danni di tre militanti lucchesi, prelevati dalle loro case e rilasciati -dopo quattro ore- con l’accusa di “possesso di armi atte ad offendere” per un manico da ombrello e un’asta di ferro.

Credo quindi sia quanto mai necessaria un’analisi approfondita sulla questione dei nuovi strumenti di repressione e che, in questo senso, un primo momento di discussione collettiva possa essere il “Convegno contro la repressione delle lotte e del dissenso” lanciato dai Lavoratori Autoconvocati di Milano per il prossimo 20 aprile.

 

Lia Valentini – Coordinamento Nazionale GC

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