Dopo la #ConferenzaGC: un passo avanti per farne molti altri

foNon è sicuramente facile descrivere la due giorni romana, la “vita di conferenza”, quello che è stato di fatto il congresso “ri-fondativo” della nostra organizzazione giovanile. Ogni partigiano delle sue idee, delle sue profonde convinzioni, vive nelle maniere più differenti il procedere dei lavori, gli scontri e gli incontri che fortunatamente caratterizzano un vero dibattito. Chi scrive non sarà sicuramente esaustivo o preciso, deve passare ancora del tempo, le impressioni però sono ancora chiare e delineano quello che possiamo definire un passo avanti.

Nella maggior parte dei 60 interventi che hanno scandito il dibattito è emersa una nuova energia, una critica radicale alle precedenti gestioni, alle impostazioni miopi che le hanno caratterizzate. C’è poco da fare, la storia sotto gli occhi di tutti ha colpito in particolare i nuovi compagni, chi, una volta dentro l’organizzazione, si è sentito subito in dovere di cambiarla, di renderla “utile”, indipendente e giusta. In generale gli interventi hanno ridato centralità all’elaborazione politica, alla concezione di un’organizzazione rivoluzionaria che rompe l’esistente e che non si accontenta di gestirlo, tutto questo su quattro evidenti solide basi:

  1. la critica senza tregua ai meccanismi della nomina “politica”, vera e propria rappresentazione del sistema delle aree organizzate, ed il sostegno alla rappresentanza dei territori negli organismi nazionali, gli stessi territori che fino ad oggi hanno dato un minimo senso all’organizzazione;
  2. l’esigenza di una pratica continua della democrazia interna sul piano quotidiano e su quello nazionale (massima democraticità nella discussione, massima unità nell’azione), pratica che non sminuisca il lavoro del gruppo dirigente ma che ne potenzi gli strumenti e l’intervento diretto e condiviso;
  3. l’impegno nella rottura delle gabbie e dei tabù che impediscono un pieno sviluppo della lotta di classe sul piano nazionale ed internazionale, l’individuazione del nemico nelle istituzioni dell’UE, tutt’altro che internazionaliste, che promuovono la separazione e la competizione mortale dei popoli d’Europa e del Mediterraneo attraverso tutti gli strumenti a loro disposizione (Diktat, Troike, Euro, commissariamenti de facto);
  4. il rifiuto della “navigazione a vista”, del politicismo delle unità (“senza principi” come avrebbe detto il Che) tra i ceti politici in ottica elettorale, l’impegno per l’unità di tutti i soggetti del conflitto su un piano anticapitalista, a testa alta, senza ritenersi figli di un dio minore.

Gli interventi hanno potuto riconfermare quel che avevamo già intuito nella lettura della nostra tribuna congressuale (mai così “frequentata” da anni) e nei dibattiti splendidi che abbiamo vissuto in molte conferenze territoriali: l’impegno difficile, faticoso e spesso osteggiato degli emendamenti ha liberato delle straordinarie energie sopite, ha di fatto posato i binari della discussione politica, ha dato un volto ai nostri lavori.

Le più diverse provenienze e culture politiche hanno quindi iniziato a ridefinire la nostra identità, la sua attualità, i suoi strumenti storici del marxismo e del leninismo aggiornati alla lotta di classe 2.0, alla giovane generazione che percorre questo paese. Per una volta tanto, il comunismo è stato meno “spettro”, meno sullo sfondo, lontano, impercettibile, per la prima volta nei “luoghi della decisione” della nostra organizzazione è stato cornice ed obiettivo, elemento di rottura strategico, sfida aperta.

Le ultime ore della conferenza, nel tardo pomeriggio di domenica, hanno visto le votazioni, hanno visto un voto che ritengo fondativo e strategico, un precedente importante che credo dovrà sconvolgere (ed utilizzo in modo positivo questo verbo) il nostro Partito: la maggioranza dei delegati e delle delegate ha scelto la modalità territoriale di elezione degli organismi dirigenti (in questo caso il coordinamento nazionale), rigettando la modalità già vista dei listini dei nominati su criteri “politici” (o meglio dire di “lealismo correntizio”). Questa votazione segna davvero uno spartiacque nella nostra organizzazione, il vero atto ri-fondativo da cui ripartire.

Concludo rinviando le mie considerazioni ai passaggi successivi che dovremo affrontare, convinto che ci siano dei dati oggettivi che ci fanno capire come sia stato fatto quel “one step beyond” di cui avevamo fortemente bisogno, restituendoci una conferenza dove ha “vinto” la politica e la rottura col passato ed ha perso il continuismo, dove ha “vinto” un dibattito democratico di tutti i delegati e le delegate (tutti, senza distinzioni) che non lascerà nessuno indietro o nessuno fuori dalle responsabilità e dagli impegni politici. Abbiamo insomma messo il seme di quel metodo, di quella “massima democraticità nella discussione, massima unità nell’azione” che riporterà la nostra organizzazione ad avere un ruolo rivoluzionario dentro e fuori il partito.

Dopo tanto tempo, troppo tempo, abbiamo ricominciato a camminare insieme, a fare un passo avanti per farne molti altri.

Aqui no se rinde nadie

SIMONE GIMONA
Coordinamento nazionale Giovani Comuniste-i, Segretario provinciale Rifondazione Comunista – Bologna

27 ottobre 2015

 

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