L’unità dei Giovani Comunisti e le ragioni degli emendamenti

11201164_10206973841215620_1720781435302049403_nQuando nel settembre 2014, col mio territorio alle spalle e tanti compagni da tutta Italia, decidemmo di scrivere a più mani, un ordine del giorno, gli intenti erano molteplici: innanzitutto svegliare la nostra giovanile in vista di un ennesimo autunno caldo che ci avrebbe travolti assolutamente impreparati come eravamo e come siamo, oltre che per riaccendere i riflettori riguardo una questione più volte bypassata dagli eventi, ovvero la conferenza dei GC, che nonostante fosse da convocare per scadenza naturale, oltre che per abbandono di una parte dalla dirigenza nazionale, latitava, e le richieste spontaneiste di convocazione cadevano più volte nel vuoto.

Insieme a tanti compagni e compagne, sottoscrissi quell’ordine del giorno da presentare in Comitato Politico Nazionale, dove a gran voce richiedevamo un attivo che fosse il più partecipato possibile e che si rivelasse essere la miccia per rimboccarsi le maniche, insieme e con passione.

Nonostante la sfiducia dei più, quell’attivo si rivelò essere davvero quello che speravamo tra le righe: entusiasta, partecipato, discusso; a 360° tutti i compagni, dai quindicenni ai trentenni, avevano voglia di mettersi in discussione, di conoscere le situazioni territoriali, di rinnovare la giovanile del domani, per giungere infine concordemente all’obiettivo finale che investiva tutti i presenti: la ricostruzione della nostra giovanile, resa a brandelli, in primis dalle azioni politiche sconsiderate di chi ad oggi è approdato altrove, in secundis da un’inerzia che non ha fatto altro che portarci ad una stagnazione politica e forse anche culturale.

Da quell’attivo di dicembre, nonostante i migliori propositi, il viaggio da Roma a Salerno fu il più riflessivo possibile: ero partita con una speranza, e ritornavo per raccontare ai compagni che nulla o quasi era cambiato. Avevamo immaginato un attivo che si concludesse sì con una commissione incaricata, ma che rappresentasse al meglio ogni territorio e, nonostante la difficoltà di queste parole, che rappresentasse ogni compagno, magari anche chi, come molti, aveva fatto la prima tessera dopo la conferenza di Pomezia e quindi si sentiva per nulla rappresentato dall’unico organo che ebbe la possibilità di esprimere un voto: il coordinamento nazionale. Quello stesso coordinamento che era legato a logiche assolutamente correntizie, così come fu creato. Nonostante la parola d’ordine della giornata fu l’abbattimento delle stesse correnti, la commissione per la conferenza fu formata sulla base delle spartizioni, risultando poco rappresentativa e poco rassicurante.

È vero, una conferenza che si rispetti, almeno a livello burocratico, prende piede dal risultato politico che aveva caratterizzato quella precedente, ma vista la straordinarietà della conferenza, e la riduzione ad minimum della giovanile, prospettavamo una Commissione ampia e partecipata, i cui lavori risultassero trasparenti e consultabili, in cui ogni territorio potesse esprimersi e dialetticamente discutere sul migliore dei modi, rappresentando quindi in una sintesi delle varie posizioni, una prospettiva unitaria.

Ad oggi dopo dieci mesi da quell’attivo, l’unitarietà viene chiacchierata come attuata, grazie alla presenza di un unico documento.

Secondo i più, a guastare il senso di unitarietà, sono stati taluni emendamenti.

L’unitarietà si sarebbe formata autonomamente sulla base di quei criteri, come immaginavamo concordemente in attivo, e non su una retorica “ratifica” di un documento.

L’unitarietà altresì si fonda su una dialettica che non miri all’eliminazione di un diverso pensiero grazie al potere di dettare i tempi, e quindi di potere restringerli, con l’obiettivo, se non mirato ma almeno pensato, di impedire la presentazione eventuale di emendamenti.

Altri compagni prima di me si sono espressi in tribuna politica a riguardo, e sono concorde nell’affermare che aldilà della condivisione nel merito di ogni emendamento, le firme, ordinate in ordine alfabetico, sono lì a rappresentare dei principi cardine del nostro Partito e del nostro ordinamento costituzionale: democraticità e libertà d’espressione.

Se la maggioranza dei compagni riterranno non consoni gli argomenti degli emendamenti, singolarmente nei propri territori non li voteranno; ma si parlerà, si discuterà, si praticherà con critica l’azione dialettica.

I giovani comunisti si presenteranno nelle varie conferenze non più solo a praticare un’azione, meramente formale, della ratificazione di un documento, espressione non del tutto partecipata, come già detto.

Il mio intervento ha l’intento di spiegare ai compagni del mio territorio, riunitosi sotto forma di attivo preliminarmente alla conferenza, la ratio della mia firma a tali emendamenti, nonostante il pensiero non concorde di tanti del coordinamento provinciale.

Lungi dall’ottica di tatticismo politico o di conta o come è stata definita di approvigionamento di “posticini”, la mia azione, come quella di tanti compagni di altre federazioni è volta nello specifico a rendere il più possibile partecipata, democratica, critica e libera la giovanile che verrà, al di fuori di ogni meccanismo di censura del pensiero.

ROSSELLA PUCA
Coordinatrice provinciale uscente GC Salerno
Comitato politico nazionale PRC

13 ottobre 2015

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