Nella scuola la nuova solitudine dei ragazzi

Studio. Alle giovani generazioni che soffocano per mancanza di occupazione si offre lo spettro di un lavoro contrabbandato per studio. E si torna all’Italia che Pasolini definiva «con il popolo più analfabeta e la borghesia più ignorante»

20desk1-scuola1Sul con­fine tem­po­rale che separò l’Italia monar­chica da quella repub­bli­cana, la tra­smis­sione della memo­ria era un tes­suto da filare in rac­conti serali, durante cene di povera gente, ric­che di scambi, opi­nioni e ricordi. Negli anni che segui­rono, la pol­ve­riz­za­zione della fami­glia, l’affermazione del modello ame­ri­cano e una rin­no­vata orga­niz­za­zione capi­ta­li­stica della metro­poli e dei tempi della nostra vita, regalò ai vec­chi il sapore amaro della soli­tu­dine, in un mondo che mette ai mar­gini chi esce fuori dai cir­cuiti della pro­du­zione. Nella sua ter­ri­bile durezza, il feno­meno con­ser­vava, tut­ta­via, un che di «natu­rale», era un dato fisio­lo­gico dai con­no­tati pato­lo­gici: la vec­chiaia è in qual­che misura sino­nimo di soli­tu­dine, l’età che avanza ci priva a poco a poco dei com­pa­gni e ci lascia sem­pre più soli in una realtà che cam­bia e si fa sem­pre più estranea.

Il punto più basso di que­sta china dispe­rante, però, l’abbiamo toc­cato da qual­che anno, quando, in una società sem­pre più orga­niz­zata in fun­zione delle logi­che del pro­fitto, per le quali più sei debole e meno sei tute­lato, è emersa d’un tratto, pato­lo­gica e deva­stante, una soli­tu­dine nuova e con­tro natura: la soli­tu­dine dei gio­vani, che non sono uguali tra loro, non costi­tui­scono una cate­go­ria sociale, ma si tro­vano in buona parte soli davanti a tempi bui che hanno la tra­gica durezza degli inverni della sto­ria e della civiltà.

I più gio­vani, quelli che meglio cono­sco, gli stu­denti, sono così soli e occu­pano ruoli così irri­le­vanti, che la sedi­cente «Buona Scuola» di Renzi non ha nem­meno un para­grafo dedi­cato a loro. Come se la scuola non li riguar­dasse, Renzi li ha ridotti a spet­ta­tori muti della pan­to­mima che uti­lizza per descri­vere il futuro che li attende. I gio­vani non esi­stono, ma è in nome loro che la riforma dell’ex «rot­ta­ma­tore» dise­gna la scuola su modelli del mer­cato e dei suoi mec­ca­ni­smi: pro­dut­ti­vità, con­cor­renza, com­pe­ti­ti­vità, leggi della domanda e dell’offerta e sfrut­ta­mento della forza lavoro rego­le­ranno, infatti, la vita sco­la­stica, ricor­rendo al peg­gior arma­men­ta­rio ideo­lo­gico liberista.

I gio­vani però non la vogliono la scuola che Renzi pre­para e lot­tano per far sen­tire la loro voce che nes­suno intende ascol­tare. Non la vogliono per­ché hanno letto il pro­getto, ne hanno discusso tra loro e hanno capito che non è una scuola, per­ché non forma più cit­ta­dini con­sa­pe­voli, in grado di ragio­nare con la pro­pria testa e di affron­tare con equi­li­brio la dura com­ples­sità del mondo in cui vivono; è una fab­brica che pro­duce lavo­ra­tori che si pro­pone di farne tec­nici spe­cia­liz­zati e alfieri dell’ammaccato «Made in Italy»; un pia­neta miste­rioso che sospinge il Paese indie­tro, fino a porti neb­biosi che pare­vano esclusi dalle rotte della civiltà: porti in cui scuola e lavoro si incon­tra­vano negli isti­tuti di avvia­mento pro­fes­sio­nale, dove chi non poteva pagarsi l’esame di ammis­sione alla scuola media era costretto a pre­pa­rarsi al lavoro.
E’ amaro, ma vero: alle gio­vani gene­ra­zioni che sof­fo­cano per man­canza di occu­pa­zione, la scuola della repub­blica fa dono dello spet­tro di un lavoro con­trab­ban­dato per stu­dio e for­ma­zione e pensa di tor­nare all’Italia che Paso­lini disprez­zava: quella col «popolo più anal­fa­beta e la bor­ghe­sia più ignorante».

Forte di una ideo­lo­gia che è «verità di fede» — la glo­ba­liz­za­zione è feno­meno irre­ver­si­bile — per pie­gare alle regole del capi­tale i nostri gio­vani, padroni e pro­fes­sori ven­gono fusi in un rap­porto spu­rio, che arti­fici lin­gui­stici defi­ni­scono alter­nanza scuola-lavoro. E’ que­sto ciò che Renzi e il Pd pen­sano di imporre alle scuole secon­da­rie supe­riori, licei com­presi, ricor­rendo a sot­ter­fugi e for­mule obli­que. Un mec­ca­ni­smo sostan­zial­mente rea­zio­na­rio, che asse­gna «qua­lità for­ma­tiva» all’attività lavo­ra­tiva pre­stata in realtà esterne alla scuola e for­ni­sce ai padroni l’opportunità di far conto sul lavoro gra­tuito, uti­liz­zando stu­denti sfrut­tati invece dei lavo­ra­tori.
Due­cento ore all’anno negli ultimi tre anni degli Isti­tuti Tec­nici e Pro­fes­sio­nali, la for­mula dell’«impresa didat­tica» che tra­sforma atti­vità di for­ma­zione a scuola in man­sioni fina­liz­zate alla pro­du­zione di red­dito, quella della «Bot­tega Scuola», che inse­ri­sce stu­denti in ambiti azien­dali di natura arti­gia­nale e, dul­cis in fundo, per gli ultimi due anni di scuola, un sistema di con­ven­zioni che decide le regole d’ingaggio per un «Appren­di­stato spe­ri­men­tale» già rego­lato dalla legge 104 del 2013.

La soli­tu­dine dei gio­vani, in prima linea in una bat­ta­glia dispe­rata per la for­ma­zione, ha i con­torni della tra­ge­dia e l’assenza degli adulti sa di tra­di­mento. Men­tre una gene­ra­zione senza futuro viene tra­sci­nata verso un mondo da incubo, che nega il diritto allo stu­dio e chiude i lavo­ra­tori nello sfrut­ta­mento garan­tito dalla can­cel­la­zione di ogni diritto – ai padroni si con­sente ormai per­sino il licen­zia­mento senza giu­sta causa – gli stu­denti pro­vano a pre­si­diare come pos­sono gli isti­tuti sco­la­stici attac­cati; i gio­vani pro­te­stano, orga­niz­zano cor­tei, ma sono soli, sotto il fuoco di fila della stampa padro­nale, che cri­mi­na­lizza le «okku­pa­zioni»; soli di fronte a un potere che, non avendo rispo­ste cre­di­bili e non potendo fare appello a una auto­re­vo­lezza che non ha, ricorre alla Digos e al Codice Rocco e pre­senta gli stu­denti come sprov­ve­duti in mano alla tep­pa­glia estre­mi­sta, rac­colta nei «collettivi».

Della sen­tenza dell’Unione euro­pea non parla nes­suno; eppure, pro­prio in que­sti giorni, l’Italia di Gel­mini, Pro­fumo, Car­rozza, Gian­nini e Renzi è stata con­dan­nata per aver tenuto 300.000 lavo­ra­tori in con­di­zione di pre­ca­rietà pro­fes­sio­nale ed esi­sten­ziale e aver sot­tratto per anni agli stu­denti il diritto alla con­ti­nuità didat­tica. Di que­sto natu­ral­mente si tace e nes­suno denun­cia le gra­vis­sime vio­la­zioni di quella lega­lità di cui ipo­cri­ta­mente ci si riem­pie la bocca, quando si tratta di cri­mi­na­liz­zare e bloc­care gli stu­denti che lot­tano in nome del diritto allo stu­dio, al lavoro e al futuro.

I geni­tori sem­brano assenti, fre­nati pro­ba­bil­mente da pro­blemi di soprav­vi­venza e dalle paure ali­men­tate da una stampa sem­pre più rea­zio­na­ria; in quanto ai docenti, inti­mo­riti dal clima repres­sivo che si vive nelle scuole e dalle rei­te­rate cam­pa­gne sui “fan­nul­loni”, anche quelli che rico­no­scono le ragioni dei gio­vani, sten­tano a schie­rarsi e li lasciano soli. Di soli­tu­dine, però muore spesso la spe­ranza e lascia spa­zio alla dispe­ra­zione. Invano la sto­ria inse­gna che le grandi tra­ge­die nascono dalla soli­tu­dine dei gio­vani e dalla diser­zione dei vec­chi. E’ sem­pre più raro che qual­cuno si fermi ad ascoltarla.

GIUSEPPE ARAGNO

da il manifesto

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