RIVOLTE E CRISI CHIUDONO I CIE: A PIENO RITMO 2 SU 12. SEMPRE TROPPI.

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I Centri di identificazione ed espulsione, in pratica prigioni per migranti,  sono in crisi.  In Italia ce ne sono 12, ma ne sono stati chiusi 6 negli ultimi mesi mentre la capienza è stata ridotta in altri 4. A dirlo non sono le realtà antirazziste, che da anni denunciano le condizioni drammatiche di vita in cui i migranti sono costretti a sopravvivere, ma il Ministero dell’Interno.

Il risultato di queste chiusure, frutto sia della riduzione dei fondi pubblici che delle continue rivolte dei migranti detenuti, è il crollo dei posti disponibili: mentre la capienza teorica delle strutture è di 1.851 posti, la ricettività effettiva è di sole 749 persone. Ancora meno sono i reclusi oggi presenti: 564 fino a qualche giorno fa.

L’ultimo Cie a chiudere i battenti è stato quello di Gradisca d’Isonzo (Gorizia), il 6 novembre. In precedenza erano stati sbarrati quelli di Brindisi, Bologna, Crotone, Modena e Trapani Vulpitta. Per tutti l’indicazione ufficiale della chiusura è attribuita a “lavori straordinari di manutenzione”, anche se in realtà, come a Gradisca, è il risultato delle azioni di lotta durissime condotte dagli stessi migranti, autori di decine di sommosse, e della solidarietà di attiviste e attivisti, all’esterno.

Capienza ridotta a Bari da 196 a 112 posti. Meno posti anche a Milano (da 132 a 28), Roma (da 360 a 222)e Torino (da 210 a 98).

Il commento di Maurizio Ricciardi, coordinamento migranti di Bologna.

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