“Cambiare il Paese per non dover cambiare Paese”. Un appello di giovani precari

di red.

“L’alternativa alla fuga dall’Italia dipende da noi”. Promossa da un gruppo di giovani precari verrà lanciata il 10 novembre a Firenze “Noi vogliamo restare”, una campagna nazionale di partecipazione politica e impegno sociale su precarietà, lavoro e welfare.Da www.vogliorestare.it L’appello: Più di un italiano su tre, tra i 18 e i 24 anni, è senza lavoro, e negli ultimi 5 anni sono stati persi 1,5 milioni di posti di lavoro tra gli under 35. La disoccupazione giovanile cresce tre volte più velocemente di quella complessiva, con picchi che superano il 50% per le donne nel Mezzogiorno. I pochi che lavorano, se non sono in nero, sono costretti a destreggiarsi tra i vari contratti precari, senza alcuna tutela da parte del sistema di welfare, senza alcuna protezione contro discriminazioni e licenziamenti arbitrari, senza alcuna possibilità di costruirsi autonomamente un percorso di vita dignitoso. Le disparità tra i generi vengono ampliate da una precarietà che è generalizzata, ma da cui le donne escono più difficilmente. Al paradosso di un Paese che ha pochissimi laureati, e non riesce a dare un lavoro neanche a quei pochi, si risponde chiudendo sempre di più l’accesso al sapere ed espellendo un numero sempre crescente di studenti dai luoghi della formazione con tagli e aumenti delle tasse. Politici, editorialisti, imprenditori ci dicono che precarietà e disoccupazione giovanile sono un dramma, quasi non fossero le conseguenze di scelte politiche condivise, mirate a scaricare su noi tutti le contraddizioni del nostro sistema economico e i costi della crisi.

La politica continua a rifiutare di assumersi le proprie responsabilità, ed emblema di ciò è la recente riforma del mercato del lavoro che – nonostante le false promesse – non ha dato alcuna risposta concreta a tale situazione.

“Dobbiamo adattarci. Dobbiamo capire. Dobbiamo sacrificarci.” A chiedercelo è una classe dirigente fatta in gran parte di corrotti e incapaci, che ha distrutto il tessuto economico, ambientale e civile del Paese, lasciandoci solo le macerie.

Cervelli in fuga? Noi vogliamo restare

Dalle macerie in tanti e tante hanno deciso di scappare. Precari in cerca di lavoro, ricercatori senza borsa, studenti stanchi di scuole e università fatiscenti. Migliaia sono le energie, le intelligenze, le risorse che vanno via dall’Italia.

Perché mai dovremmo restare in Italia, se qui non è possibile vivere con dignità, dare corpo alle nostre aspirazioni, mettere in gioco le nostre competenze?

Eppure noi crediamo di essere una risorsa. Se questo Paese va ricostruito, noi sappiamo di poterlo e doverlo fare.

Per riuscirci però abbiamo bisogno di un cambiamento qui e ora, che ci permetta di restare: non vogliamo il posto di qualcun altro, vogliamo costruire il nostro. Non chiediamo privilegi, ma semplicemente le condizioni di dignità e agibilità necessarie a prendere in mano il nostro futuro e quello dell’Italia, a mettere competenze, formazione e capacità al servizio di un progetto collettivo di cambiamento, senza favoritismi e senza clientele.

Serve però un grande sforzo collettivo, mettendo da parte ogni interesse parziale, avendo ben chiaro in testa l’obiettivo da condividere: un Paese all’altezza delle nostre aspettative, dei nostri bisogni, delle nostre speranze. Vogliamo cambiare l’Italia, vogliamo poter restare qui per farlo.

Cambiare il Paese, per non dover cambiare Paese

Dobbiamo costruire tutte e tutti insieme una grande battaglia contro la precarietà, per cancellare tutte le forme contrattuali che travestono da lavoro autonomo il lavoro subordinato e da lavoro parasubordinato il puro e semplice sfruttamento, per conquistare la dignità del lavoro, per combattere gli abusi e le illegalità che subiamo ogni giorno sulla nostra pelle, per sancire il diritto a una giusta retribuzione e a un sistema di tutele e ammortizzatori sociali che garantisca tutti e tutte, a prescindere dalla forma contrattuale.

Vogliamo cancellare la precarietà per entrare a testa alta in un mondo del lavoro che a sua volta deve essere rifondato su diritti e libertà. Dobbiamo ricostruire il diritto del lavoro, perché non sia possibile essere licenziati senza motivo, perché i nostri diritti fondamentali vengano sanciti da leggi e contratti nazionali inderogabili, perché valgano per tutti i settori e in tutti i territori, in una prospettiva di piena e vera cittadinanza europea. Perché la democrazia non si fermi alle porte dei luoghi di lavoro, ma a tutti e tutte venga garantita la possibilità di organizzarsi liberamente e decidere da chi essere rappresentati.

I diritti, le tutele e le libertà devono crescere per stare al passo del lavoro che cambia, per non lasciare indietro nessuno. Serve un nuovo sistema di welfare universale, che dia la possibilità di vivere in maniera dignitosa a uomini e donne, a chi ha un lavoro dipendente e a chi ne ha uno autonomo, un sistema che ci tuteli durante i periodi di lavoro intermittente e disoccupazione, che ci sostenga quando siamo sottoimpiegati o sottopagati, che ci garantisca l’accesso a diritti fondamentali come la casa o la scelta di avere un figlio. E questo nuovo welfare, come avviene ormai in tutta Europa, deve prevedere un reddito minimo garantito, che ci renda autonomi dalla famiglia e liberi dal ricatto occupazionale. Che contribuisca a fermare il livellamento verso il basso di salari e diritti, permettendoci di scegliere liberamente i nostri percorsi personali, di formazione e professionali e di valorizzare al meglio le nostre capacità, le nostre competenze, le nostre energie.

Stabilire queste condizioni minime di dignità significherebbe permetterci di restare in Italia e di metterci al lavoro, liberando le energie nuove che servono a ricostruire il nostro Paese. Ma non servirebbero a molto, se non avessimo in mente la direzione da prendere. Perché ci siano i diritti del lavoro, per dirla brutalmente, ci dev’essere il lavoro. La nostra generazione deve essere in grado di far fare all’Italia uno scatto di innovazione senza precedenti, imprimendo una nuova direzione allo sviluppo, coinvolgendo le università, le forze sociali e le comunità locali nella costruzione di nuove filiere produttive, al servizio del territorio e della società, invece che della loro distruzione. Un nuovo sviluppo che sappia liberare i nostri territori dall’illegalità dilagante nell’economia e nella società, dal dominio feroce e violento della criminalità organizzata, da connivenze e complicità tra affari, mafia e politica. Dobbiamo valorizzare il più possibile tutte le esperienze che arrivano dal basso, dalla cooperazione, dell’associazionismo, dal mutualismo, in un’ottica di apertura e condivisione di tutte le politiche pubbliche, in particolare quelle sociali e culturali. Serve la pianificazione democratica e partecipata di un nuovo modello produttivo per l’Italia, servono nuove politiche industriali, ambientali ed energetiche che vadano nella direzione di una nuova idea di sviluppo, rispettosa dell’ambiente e delle persone, libera dai dogmi del profitto e capace di compiere una vera redistribuzione della ricchezza.

Una sfida del genere richiede risorse e competenze all’altezza, mentre l’Italia ha ancora meno della metà dei laureati rispetto alla media OCSE e un investimento su scuola, università e ricerca tra i più bassi in Europa. Non si può pensare di cambiare l’Italia senza portare il nostro sistema di istruzione e formazione al livello di finanziamento degli altri Paesi europei, senza liberare l’accesso ai saperi da barriere economiche oggi insormontabili, senza porsi l’obiettivo di un’istruzione e formazione di qualità per tutte e per tutti, di una ricerca pubblica al servizio dell’innovazione in senso ambientale e sociale, di un sapere libero da vincoli aziendali e confessionali.

La sfida non è più rimandabile

Ci mettiamo in gioco, in prima persona, perché non abbiamo mai delegato nulla a nessuno e non vogliamo e non possiamo cominciare a farlo adesso Le idee e la voglia di partecipare che abbiamo dimostrato nelle mobilitazioni degli ultimi anni ci devono tenere insieme, non permettendo alle logiche partitiche ed elettorali di dividerci e strumentalizzarci. Dobbiamo metterci tutte e tutti al lavoro da subito, costruendo le condizioni per una partecipazione di massa della nostra generazione, rafforzando e moltiplicando i tanti utili percorsi che sono già in campo, dai referendum su articolo 8 e articolo 18 alla proposta di legge di iniziativa popolare sul reddito minimo. Presi singolarmente, questi percorsi rischiano di risultare isolati e limitati, ma se lavoriamo insieme possiamo costruire una proposta all’altezza della complessità delle sfide che abbiamo davanti.

Vogliamo quindi lanciare alle realtà e alle persone che condividono questi obiettivi un percorso partecipato, una grande campagna di idee e azioni, capace di incidere a livello locale e nazionale, confrontandoci chiaramente nel merito delle questioni e attivandoci in prima persona.

Proponiamo di iniziare a discuterne tutti insieme a Firenze nell’ambito delle iniziative per il decennale del Forum Sociale Europeo, un appuntamento fortemente simbolico che vogliamo riempire di contenuti veri e attuali, per evitare inutili autocelebrazioni e inserire la nostra battaglia nel contesto europeo delle mobilitazioni contro l’austerity e per la costruzione di un nuovo modello democratico e sociale per tutti i popoli del continente.

Ci incontreremo il 10 novembre per confrontarci, a partire da questi spunti, su come dar vita a una campagna nazionale di partecipazione politica, impegno sociale e iniziativa pubblica radicata in tutti i territori, con tutti gli strumenti che individueremo assieme come opportuni, su questione generazionale, precarietà, welfare, lavoro e ambiente, sul nostro presente e il nostro futuro, che è il futuro di tutte e tutti.

Sappiamo che fuggire può essere la strada più semplice, sappiamo che spesso è necessario ed inevitabile, ma noi vogliamo restare qui e sappiamo che l’alternativa alla fuga dipende da noi.

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30 ottobre0 2012

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