Per una vera rivoluzione referendaria

di Alessandro Pascale

Gira come un fiume in piena sul web la notizia che andando in Comune si possa firmare dei referendum per abbassare gli stipendi dei politici. Una manna per chi da anni porta avanti un populismo anti-casta facendo credere che tutti i problemi dell’Italia si risolvano dimagrendo gli stipendi dei parlamentari. Che la politica italiana necessiti di una profonda riforma (morale innanzitutto, ma anche economica) non c’è dubbio. Ma bisogna stare attenti a metodi e modalità dell’eventuale riforma, per evitare che i rimedi siano più dannosi dei mali. Andando a spulciare i tre quesiti proposti si scopre infatti che solo il primo quesito (che propone l’abrogazione di una serie di privilegi dei parlamentari) è tutto sommato condivisibile, mentre il secondo (abrogazione del finanziamento pubblico ai partiti) e il terzo (abrogazione delle provvidenze pubbliche per l’editoria) devono essere combattuti strenuamente.

Inutile girarci attorno: queste due istanze liberiste e antipartitiche (in una parola: grilline) rischiano, nel caso fossero approvate, di indebolire ulteriormente la nostra già fiacca democrazia, dando un colpo mortale a quelle organizzazioni partitiche ed editoriali più vicine al popolo, favorendo invece l’azione delle organizzazioni padronali. Se simili misure fossero approvate ci avvicineremmo con passi da gigante a quella finta democrazia americana in cui le lobby controllano e condizionano in maniera preponderante il potere politico bipolare. Altra conseguenza sarebbe quella per cui sul piano editoriale assisteremmo alla chiusura delle poche voci critiche ancora rimaste in circolazione (Il Manifesto per primo), lasciando all’oligopolio Stampa-Corsera-Repubblica la libertà di fare il bello e cattivo tempo nel campo dell’informazione. Sarebbe il trionfo del pensiero unico e di quei profittatori che speculano sul nostro futuro, i quali sanno benissimo che l’unica arma che può fermarli è una rinnovata lotta politica di classe, portata sul doppio piano sociale ed istituzionale.
Questo referendum rappresenta quindi più danni che altro, e soprattutto non affronta i veri problemi dell’Italia: la drammatica situazione economica e lavorativa (si parla di 8 milioni tra disoccupati e precari), che colpisce più di tutti i giovani.
Se è vero allora che è in corso una manovra costituente che mira alla riaffermazione di un “nuovo ordine” (peraltro assai simile al modello sociale autoritario del fascismo), occorre avere il coraggio di offrire una visione radicalmente alternativa rispetto a quella di Monti & Co.
E ciò non dovrebbe avvenire solo su un mero piano difensivo, ma allargando il più possibile il campo, per cercare di coinvolgere anche quei tanti giovani che fino ad ora non sono presenti nel dibattito pubblico.
La gran parte di questi giovani non hanno mai goduto né dell’art.18, né tantomeno dell’art.8, su cui è stata annunciata la volontà da parte di Ferrero e Di Pietro di fare un referendum. Il rischio è che un tale atto scorra nell’indifferenza di ampi strati sociali, o peggio che venga percepito dai più (dagli stessi giovani) come una mera “conservazione” di una serie di privilegi. Tale è il messaggio distorto promulgato da media e padronato d’altronde. E fa presa. Purtroppo. Perchè lavora sullo scontro generazionale, offrendo una via di fuga a quegli stessi giovani oggi senza futuro.
Ma se si affrontasse di petto la questione della precarietà, introducendo anche un quesito che miri ad abolire la famigerata legge 30, non si potrebbe riuscire ad unire due settori del mondo del lavoro che oggi appaiono tragicamente divisi? E se si aggiungesse la proposta dell’istituzione di un reddito di cittadinanza non si riuscirebbe forse a creare quel blocco sociale avanzato in grado di compattarsi attorno ad un’idea diversa del lavoro, realmente rispettosa dei tanti articoli fondamentali della nostra Costituzione (art. 1, 3, 4, ecc.) sempre più trattati come carta straccia?
Siamo senz’altro in grado di spiegare come reddito di cittadinanza, art.18, art.8, e abrogazione della legge 30 siano tutti pezzi legati tra loro, tessere di un mosaico necessariamente interconnesse e indispensabili l’una all’altra per garantire a tutti una speranza di avere un lavoro dignitoso.
Oggi, che siamo sull’orlo del baratro, occorre avere il coraggio di passare all’offensiva, e cercare di superare la profonda cesura che si sta creando tra società e partiti attraverso un salto di prospettiva. Tanto più le manovre padronali sono radicali, tanto più radicali devono essere le risposte popolari. Solo così riusciremo a costruire un blocco sociale cosciente della propria forza e che sia in grado di spezzare le catene ideologiche e materiali costruite negli ultimi trent’anni dalla reazione neoliberista.

ALESSANDRO PASCALE
Portavoce Giovani Comuniste/i – Valle d’Aosta

18 luglio 2012

4 commenti su “Per una vera rivoluzione referendaria”

  1. Laura Bonaventura

    Non sono d’accordo. Forse non è chiaro nemmeno a voi, che vi dite “vicini al popolo” che gli italiani sono stufi di farsi prendere in giro. Io lavoro e vengo RIMBORSATA per i viaggi di lavoro (e sono fortunata), voi prendete dei soldi pubblici per campare e questo in tempi di crisi non è accettabile, anche perché ci fu un referendum che NON avete rispettato e continuate a prenderci in giro con questa cosa dei rimborsi che non sono rimborsi ma FINANZIAMENTI veri e propri. Non vogliamo mettere in mano delle “lobby” (che non vuol dire nulla, il FQ mica è in mano alle lobby) la democrazia o l’editoria, vogliamo che siate onesti, che lavoriate con disinteresse per il denaro (o vogliamo dire che si fa il politico per passione, oggi, in Italia?). Ci sono tante cose da fare in Italia, non è che prima ce n’è da fare una e poi l’altra, perché poi altro che Grillo, quando ci ritroveremo i fasci in Parlamento, come per Berlusconi, la colpa sarà solo ed esclusivamente vostra.

  2. Alessandro Pascale

    guarda Laura, io personalmente non prendo soldi da nessuno, e le mie idee vengono da un’analisi empirica e storica della realtà. In generale chi sta in Rifondazione è gente che fa politica per passione. Se si voleva far carriera e ottenere cadreghe si poteva andare nel PD… accusarci di essere “casta” è quindi quanto meno ridicolo.
    Ti voglio comunque dire una cosa: a te interessa il bene tuo e degli altri italiani onesti e lavoratori, oppure ti interessa sfogare unicamente una rabbia accumulata per aver votato per anni partiti e politici che si sono rivelati scadenti, complici dei padroni e corrotti?
    No perchè se vuoi solo sfogarti ti consiglio di fare sport (palestra, piscina, boxe, o quant’altro) in modo da non danneggiare per lo meno noi giovani con proposte politicamente pericolose. Anche io lavoro e ritengo che la minaccia più grande agli interessi miei e dei miei simili venga dai 95 miliardi di euro che nel 2012 l’Italia pagherà soltanto di interessi al proprio debito pubblico. Quei 95 miliardi sono il punto, e non si risolveranno con referendum fuffa o con tagli di poche centinaia di milioni di euro che rischiano invece di eliminare completamente le poche voci critiche (e alternative alle politiche liberiste di Monti) che parlano proprio di come sia possibile recuperare quei 95 miliardi di euro. La colpa quindi non sarà nostra se si andrà al degrado, nè tantomeno se i fascisti ritroveranno legittimazione (Bolzano insegna…).
    Detto questo spero che si possa riuscire, per il futuro a dialogare e confrontarsi realmente. Io mi son letto tutto il programma del M5S. Invito te e chiunque sia interessato al bene degli italiani a leggere l’ultimo libro di Ferrero, Pigs, in cui si dà una visione alternativa sulle cause della crisi e sulle modalità di uscirne. Saluti

  3. Davide Lorenzon

    Lo fanno solo per il rimborso della raccolta firme. Al di là del merito del quesito referendario, ai sensi, però, dell’art. 31 della L. 352-1970, non può essere depositata richiesta di referendum nell’anno anteriore alla scadenza di una delle due Camere e nei sei mesi successivi alla data di convocazione dei comizi elettorali per l’elezione di una delle Camere medesime; inoltre, ai sensi dell’art. 32 della medesima legge, le richieste di referendum devono essere depositate dal 1 gennaio al 30 settembre di ciascun anno. Essendo ormai decorso il termine del 30 settembre del 2011, ed essendo il 2012 l’anno che precede la scadenza della Legislatura in corso, ne consegue che (salvo il caso di elezioni anticipate nel corso del 2012) la proposizione (o meglio, il deposito delle firme raccolte) di uno o più referendum sarà possibile solo a partire dal 2014.

    A questa contestazione, la coordinatrice nazionale Di Prato ha risposto:“infatti le firme le consegneremo a gennaio 2013″. Quando le si è fatto notare, però, che “la legge non consente che vengano consegnate a più di 3 mesi dall’apposizione dei timbri sui moduli delle firme” (avvenuta ad aprile) non ha risposto, o meglio, ha detto che i loro “costituzionalisti” hanno idee divergenti sul punto. Infine, quando le è stato chiesto se queste persone definite “costituzionalisti” che credono che 3 mesi vada interpretato nel senso di 9 mesi hanno magari un nome, e se possono citare alcuni precedenti a loro sostegno, da qui in poi nessuna risposta.

    Il rischio, dunque, è che la raccolta di queste firme possa portare a un nulla di fatto. I tempi tecnici sono scanditi dalla legge 352/70; essa prevede che “la richiesta della consultazione deve provenire da cinquecento elettori – la cui sottoscrizione deve essere raccolta e depositata in un arco di tempo non superiore a tre mesi dal momento in cui il comitato di promotori, costituito da non meno di dieci cittadini elettori, ha annunciato ufficialmente l’iniziativa della richiesta secondo le modalità previste dalla legge – e deve essere depositato nella cancelleria dell’Ufficio centrale per il referendum presso la Corte di Cassazione entro il 30 settembre di ciascun anno anteriore alla scadenza delle Camere – anno inteso non come anno solare, ma come 365 giorni – e nei sei mesi successivi alle relative elezioni.” (Mazziotti Di Celso, Manuale di diritto costituzionale).

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