Distruzione pubblica

di Dmitrij Palagi

Work isn’t a right” ha dichiarato il ministro Fornero al Wall Street Journal. L’affermazione ha permesso a molti di riproporre sulla rete gli articoli 1 e 4 della Costituzione, ricordando non solo che l’Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro ma anche che questo è un diritto riconosciuto ad ogni cittadino. Lelio Basso, deputato dell’assemblea costituente e membro della commissione incaricata di redigere la carta costituzionale, ha efficacemente riassunto l’idea che sta dietro a questa scelta: “quello che noi desideriamo è che il lavoro sia finalmente soggetto e non oggetto della storia; che i lavoratori siano finalmente i veri protagonisti della vita politica; è chiaro che non si tratta di una Repubblica che dall’alto tutela il lavoro, ma piuttosto di un lavoro che ha conquistato la propria maggiorità e che permea di sé stesso gli istituti della nuova Repubblica italiana”.

Tutti gli altri diritti, principi fondanti dell’Italia repubblicana, sono capisaldi fondamentali ma non fondanti come il lavoro. Vale anche per l’istruzione pubblica. Non è una questione di gerarchie o di struttura dei valori. Si tratta di una visione complessiva della società italiana in cui il lavoro è uno strumento di relazione e solidarietà sociale. La manodopera come merce utile alla produzione di altra merce dovrebbe essere una lettura lontana da qualsiasi tipo di sinistra. Non si può quindi scindere il tema della scuola pubblica da quello del lavoro.

Se volessimo evitare argomenti tacciabili di “comunismo” basterebbe citare l‘apprendimento permanente (Life long learning), ossia un percorso educativo che dura per tutta la vita, anche al di fuori del percorso accademico. Il Programma d’azione comunitaria nel campo dell’apprendimento permanente è il principale investimento della comunità europea nel campo dell’istruzione; in Italia a stento sappiamo di cosa parliamo.

Una sinistra capace di proporre un sistema alternativo a quello presente dovrebbe essere  capace di partire dalla Costituzione e proporre un proprio progetto, che pensi a una effettiva riforma della scuola e dell’intero sistema produttivo. Non si può ignorare il basso  numero di laureati nel nostro paese, che si accompagna a un livello di disoccupazione giovanile drammatico e a un’incapacità di inserire i nuovi lavoratori in percorsi occupazionali all’altezza del titolo di studio. L’Eurostat nel giugno del 2012 ha registrato come l’Italia sia ultima in Europa  per numero di laureati tra i 30 e i 34 anni.

Domanda; se quei pochi laureati che abbiamo non riescono a trovare un’occupazione adeguata al tipo di studio e in generale hanno difficoltà a trovare un qualsiasi tipo di lavoro, perché si dovrebbe favorire un incremento degli studenti universitari?

Il rischio è scambiare il concetto di diritto con quello di servizio.

Cosa non è o non dovrebbe essere l’istruzione pubblica? Non dovrebbe essere un avviamento al lavoro. Non dovrebbe essere un modo per far passare il tempo ai figli (questo è un rischio specifico per le scuole dell’infanzia, sempre più soggette a tagli). Non dovrebbe essere una vuota diffusione di dati e nozioni. La scuola dovrebbe avviare il singolo all’interno della società, dotandolo degli strumenti adeguati per una corretta autoaffermazione e realizzazione delle proprie aspirazioni. Questo non è possibile con i soli asili e le sole università, anzi presuppone un sistema sociale complessivo per il quale la sinistra dovrebbe iniziare a sviluppare un progetto di lungo periodo.

Sarebbe necessario affrontare il problema della scarsa partecipazione ai corsi dedicati alla formazione scientifica. Si potrebbe mettere in discussione la divisione netta tra studenti e insegnanti, quasi questi ultimi fossero depositari di una verità con cui illuminare giovani menti ignoranti. Andrebbe riaffrontato il tema della divisione disciplinare (che raggiunge estreme conseguenze nel modello dei crediti all’interno delle facoltà umanistiche, per cui l’approccio alla filosofia ricorda più le sezioni che il macellaio segue per dividere una mucca, anziché un insegnamento sul pensare).

Purtroppo l’agenda della sinistra, frammentata e litigiosa, è povera di contenuti e priva di teoria. In Italia il sistema dell’istruzione pubblica non ha subito nessuna reale riforma dopo quella del fascismo. Facendo riferimento ai metodi con cui si svolgono le prove di maturità il ministro Profumo ha ricordato la presenza di elementi gentiliani nell’attuale sistema scolastico. A sentire l’esponente del “governo dei professori” si potrebbe pensare che il problema dal 1923 ad oggi fosse il metodo di consegna dei plichi per le prove di maturità.

Non è solo l’incapacità dalla sinistra a comportare l’assenza di proposte concrete per una riforma effettiva dell’istruzione pubblica. L’attuale condizione del sistema è ormai da anni in picchiata libera. I ministri che si sono susseguiti al Miur, di centrodestra come di centrosinistra, hanno di fatto gestito i tagli, ridotto le spese, ripensato gli investimenti. Il risultato è un accentramento degli organismi decisionali nelle mani di singoli presidi e rettori, una concorrenza tra istituti e poli accademici. Nella migliore tradizione italiana si va nella direzione di una privatizzazione a tutela pubblica. Non a caso viviamo in un paese in cui si sbraita ogni volta che si mette in discussione l’opportunità di dare soldi statali a istituti che in quanto privati dovrebbero vivere esclusivamente di mercato (si chiama logica, anche se gli imprenditori italiani la hanno sempre sacrificata in nome dei privilegi).

Si può parlare di distruzione pubblica anche in termini materiali: sarebbe interessante verificare quanti edifici scolastici sono adeguati alle normative sulle sicurezza previste dalle nostre leggi. Classi i cui tetti e muri hanno dubbia stabilità sono riempite sempre più come pollai, con un affollamento per aula (e un numero di studenti per insegnante) che rende la scuola pubblica simile a una sorta di allevamento in cui crescere carne da lavoro prima che i residui di principi costituzionali rimasti all’opinione pubblica facciano scattare l’indignazione (un minorenne sfruttato commuove ancora per fortuna). A questo si aggiunge il sempre minore numero di insegnanti di sostegno.

Il disastro presente spinge a difendere il poco che c’è. Come per la Costituzione: non abbiamo le forze per migliorarla quindi teniamo quello che c’è e intanto proviamo a non transigere sulle battaglie difensive. Tra l’altro durante i governi di centrodestra quello della scuola pubblica è uno dei pochi campi in cui si possono ritrovare unite tutte le sigle dell’eterogeneo e vasto insieme della sinistra. Movimenti di massa sorgono dal niente (e si volatilizzano altrettanto velocemente). Insegnanti, personale ATA, studenti insieme in piazza per scandire slogan come: “se non cambierà lotta dura sarà” (riferito ai tagli di turno). Guardando il partito più grande di quelli all’opposizione rispetto all’ultimo governo Berlusconi, si rischia di sospettare il Partito Democratico di schizofrenia.

Verso la fine del 2010 lo scontro tra Bersani e l’allora ministro dell’istruzione Gelmini ha raggiunto livelli altissimi, secondo i parametri della politica italiana: il segretario del principale partito dell’allora opposizione è salito sui tetti occupati da studenti e ricercatori, il ministro lo ha quindi accusato di agire da «studente ripetente». Piccato Bersani pubblica il suo libretto universitario (tutti 30 eccetto un 28) sfidando in Parlamento l’accusatrice di fare altrettanto. Questo ameno episodio segnala il livello del confronto politico e la condivisione diffusa dell’idea che con il voto si qualifica la qualità dell’essere umano (o almeno del politico).

Cosa dovrebbe importare al cittadino della media che aveva il proprio rappresentante parlamentare? Ma in Italia funziona così (o meglio, così appare); o sei un imprenditore che si è fatto da solo o sei uno studente modello riconosciuto dal sistema accademico (è comunque preferibile appartenere alla prima categoria). In caso contrario si può rimediare partecipando a qualche spettacolo televisivo per espiare la propria mediocrità.

Nel 2010 a Bersani scappa anche un’argomentazione forte e articolata sull’allora ministro dell’istruzione: “Gelmini rompe i coglioni” alle insegnanti eroiche che cercano di fare il loro lavoro.

Già nel 2008 la riforma della Moratti secondo Fioroni (a sua volta già ministro dell’istruzione per il centrosinistra) rende la scuola “inadeguata, impoverita e invecchiata” con “lo smantellamento del sistema dell’istruzione pubblica“.

Berlusconi cade, Gelmini cade (politicamente). Una svolta. Si può andare alle elezioni con un progetto alternativo. L’alternativa però non è pronta, meglio un governo di professori. Non professori di liceo e neanche baluardi del sistema di istruzione pubblica ovviamente. A guidare il nuovo governo Mario Monti, che nel corso del recente passato aveva avuto modo di elogiare Gelmini e Marchionne come modelli per innovare il paese. Poco rassicurante.

C’è un nuovo ministro ma nessuno pare voler dare segnali di discontinuità. Anzi, dopo oltre sei mesi di nuovo esecutivo Profumo e il suo predecessore si scambiano apprezzamenti reciproci e rivendicazioni di continuità.

Sarebbe riduttivo e superficiale pensare che il Partito Democratico abbia opportunisticamente cambiato posizione rispetto al ministero Gelmini. Ancora nel marzo del 2012 si sono denunciati i danni provocati da tre anni di tagli e si avverte che l’impegno del PD è teso a ”vigilare sulle politiche del Miur e chiedere al governo Monti un’urgente discontinuità da quanto fatto dai suoi predecessori“.

Si è passati quindi dai tetti dei movimenti a un’operazione di vigilanza preoccupata.

D’estate si sa che gli studenti non scendono volentieri in piazza ed è innegabile come anche il movimento di difesa dell’istruzione pubblica fosse permeato dall’antiberlusconismo.

Non si può però prescindere da un progetto complessivo che proponga una reale riforma del sistema pubblico, partendo dalle proposte elaborate nel corso degli anni dall’FLC Cgil, da parte degli studenti (di ieri e di oggi), dai numerosi comitati in difesa della scuola pubblica.

Ricercare la massima unità possibile a  partire da un progetto comune dovrebbe essere la priorità di un partito della sinistra italiana, per tenere insieme gli interessi diversi di studenti, insegnati e lavoratori, diventando il punto di riferimento per sindacati e collettivi che tentano nelle loro realtà di elaborare progetti alternativi.

Scendere in piazza cantando slogan non cambierà molto e una lotta senza obbiettivi è destinata inevitabilmente a fallire. Una sinistra capace di proporsi alternativa ai governi Monti e Berlusconi, più che sperare in mistici cambi di legge elettorale, dovrebbe riuscire a battere un colpo.

DMITRIJ PALAGI

da www.orsopalagi.it

1° luglio 2012

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