Unitariamente rivolti a chi oggi aspetta e… non spera

di Antonio Perillo

Il 4 e 5 giugno a Roma compiremo un passo importante in direzione di quel percorso unitario a livello giovanile che tracciammo all’ultima conferenza nazionale e che abbiamo discusso a lungo, in particolare nelle serate degli ultimi 2 campeggi nazionali, vissuti insieme ai compagni e alle compagne della Fgci.

L’idea di avviare, accanto al rilancio della nostra organizzazione, un percorso aggregativo, nasceva da molteplici e significative esigenze.

Innanzitutto, la gestazione della Federazione della sinistra, che cominciava ad unire Prc e Pdci insieme ad altri soggetti promotori, e che ci induceva gioco forza a riflettere sulle forme più efficaci sulle quali modellare, a livello generazionale, questo pambizioso progetto.

In secondo luogo, avevamo la consapevolezza che il rilancio del nostro progetto politico dovesse passare necessariamente per il reinsaldarsi di quei legami sociali e politici smarriti dopo le batoste elettorali e di credibilità politica prese durante il governo Prodi e dopo le elezioni del 2008.

Nell’autunno di quell’anno, ad esempio, molti di noi vissero lo straordinario movimento studentesco dell’Onda con entusiasmo, ma anche con la frustrazione di vedere privata la propria organizzazione di qualsiasi credito e peso politico. Alcuni nostri compagni di allora scelsero di azzerare del tutto il profilo dei GC e di “sciogliersi” metaforicamente nel movimento, giungendo poi ad abbandonare realmente il partito. La sconfitta di quel movimento lasciò loro spesso privi di riferimenti politici e noi, consci di aver preso la giusta decisione, tuttavia alle prese con un’organizzazione da ricostruire quasi del tutto.

Nondimeno, cominciammo a farlo, a sorreggere la nostra scelta di rimanere e insieme ridiventare partito, organizzazione politica che ambisce a rappresentare le ragioni di classe di milioni di giovani lavoratori, precari, studenti, migranti. Lavoravamo spesso, nelle difficoltà, nei territori, insieme ai compagni della Fgci e ai tanti compagni e compagne che si iscrivevano alle nostre organizzazioni senza aver vissuto congressi laceranti, scissioni e sconfitte epocali. Era quindi ancor più naturale impegnarsi per trovare i modi per mettere a valore queste diverse esperienze.

Insieme a queste ragioni contingenti e di natura più prettamente politica, giungevano a maturazione molte nostre riflessioni di lungo termine sulla società e sull’analisi della condizione giovanile nei nostri tempi. Una generazione giovanile mai stata più precaria di oggi dai tempi del dopoguerra, dal punto di vista lavorativo come da quello esistenziale e della percezione di sé e dei propri mezzi e priva degli strumenti minimi di analisi della realtà. Paradossalmente quindi, una generazione giovanile allo stesso tempo mai così carente di fiducia nella politica e nella partecipazione attiva alla vita pubblica come strumento di miglioramento della propria condizione materiale e morale. Una generazione mai così passiva e impotente pur davanti ad un’offensiva padronale volta a scardinare tutta una serie di diritti considerati fino a qualche anno fa come acquisiti. Una terribile torsione delle esistenze nella sfera privata nel momento in cui il diritto ad un’istruzione decente, al lavoro, ai servizi sociali minimi e alla pensione sono ampiamente a rischio. Un’incapacità ma vista prima anche solo di immaginare la propria esistenza fuori da questo capitalismo in crisi.

Da tale condizione scaturiva anche una straordinaria frammentazione delle soggettività politiche, associative e di movimento della sinistra. Condita spesso da incomunicabilità e diffidenza reciproca. Lo straordinario movimento dell’Onda, sconfitto, non riusciva a mettere radici durature nella società, lasciando in molti la sensazione di dover cominciare da capo un lungo lavoro di ricomposizione.

Nel documento della conferenza nazionale scrivevamo di una proposta di “aggregazione di tutte le forze della sinistra di alternativa che si muovono sul terreno generazionale”, comuniste e di sinistra, aperta “ai movimenti, alle migliori intelligenze critiche, alle realtà auto-organizzate del sindacalismo di base, alle realtà studentesche, alle molteplici realtà associative[…] disposte ad avviare con noi un processo unitario”. Un percorso che originasse dal basso.

Al campaggio di Sapri dello scorso anno, abbiamo sancito la necessità di accelerare il processo, avviando una discussione sui territori che portasse ad un’assemblea nazionale per coinvolgere tutti i soggetti interessati.

Da allora, la nostra organizzazione ha consolidato la sua presenza e la sua attività in molte zone del Paese, si è rimessa in moto. Ha partecipato con un proprio punto di vista e una sua riconoscibilità alla nuova, rabbiosa stagione di movimento studentesco di quest’autunno culminata in piazza del Popolo il 14 dicembre 2010. I GC, con tutti i notevoli limiti tutt’ora presenti, hanno spesso riconquistato il loro ruolo di interlocutore e parte integrante di un movimento di tale importanza.

Abbiamo anche costruito solidi rapporti di collaborazione e di elaborazione comune con i compagni e le compagne della Fgci, la cui attività in alcuni casi non è distinguibile dalla nostra.

Tuttavia, un ragionamento comune con altre soggettività organizzate che fossero direttamente interessate ad un percorso unitario con noi non ha segnato risultati significativi. E anche la discussione, da noi auspicata, su base territoriale non si è sviluppata con la forza e l’urgenza che speravamo. E’ necessario partire da questa serena constatazione di quanto avvenuto.

Ciò significa proporsi di rinunciare al progetto? Tutt’altro. E’ necessario invece, conoscendo la situazione descritta sopra, un input nazionale, un momento di riflessione collettiva che dia ai compagni sui territori qualcosa di concreto su cui lavorare e misurarsi. Questo avvio può e deve essere l’appuntamento del 4 e 5 giugno a Roma, a cui dobbiamo impegnarci fin d’ora a garantire la massima partecipazione da ogni parte d’Italia.

La mia idea è che, come spesso accade in questi importanti passaggi di fase, si corra qualche rischio e si aprano buone possibilità.

Il rischio principale starebbe nel fatto che noi a Roma sancissimo la fotografia dell’esistente, che ritrae due organizzazioni giovanili in fase di ricostruzione e rilancio, quindi spesso deboli. E che ci illudessimo, limitandoci ad eliminare il confine tra le due strutture e nel vederci un po’ più grandi sotto un nome unico, di aver risolto i nostri problemi. Partoriremmo invece un processo già morto di fatto, magari giusto bagnato di facile retorica unitaria.

Dobbiamo invece rimanere ambiziosi. Immaginare una soggettività che riesca a compiere quel processo unitario verso l’esterno e dal basso che avevamo immaginato in conferenza nazionale. Ed elaborare una forma associativa che ci consenta di superare, ad esempio, i tanti problemi che abbiamo tutt’ora nel radicamento nei luoghi della formazione. E più in generale di venire in contatto con i tanti giovani che rifiutano qualsiasi rapporto con la politica. Un grande cantiere di elaborazione di pratiche, conflitto e visioni da mettere in comune, da rendere accogliente e assolutamente democratico.

Dobbiamo sapere quindi che lo sforzo maggiore dovrà essere indirizzato al coinvolgimento di chi oggi non milita nelle due organizzazioni promotrici. E che proprio per questo non vanno sciolte, come peraltro abbiamo ribadito nel documento dell’ultimo campeggio, a sottolineare che il percorso unitario è qualcosa che mettiamo a disposizione di un progetto molto più ampio.

Dobbiamo avere chiaro anche che il cammino sarà lungo e accidentato, refrattario a formule e scenari predeterminati.

ANTONIO PERILLO

Portavoce provinciale GC Napoli

15 Maggio 2011

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