L’obbligo politico di continuare la Resistenza

Intervento di Simone Oggionni alla commemorazione del 25 aprile a San Severo (Foggia)
È sempre emozionante parlare il 25 aprile. Questa è la vera festa del nostro Paese, che ogni cittadino italiano dovrebbe sentire come la sentiamo noi, che ogni anno organizziamo iniziative di lotta e ricordo. E in particolare dovrebbero sentirla come tale i giovani. Dico questo perché in questi giorni ho riletto per l’ennesima volta le lettere dei condannati a morte della Resistenza italiana, e la cosa che più mi ha colpito – che ogni volta mi colpisce – è vedere con quanta frequenza ricorra in quelle lettere la preoccupazione per i figli, per i nipoti, per le generazioni future. Quella guerra di liberazione i nostri eroici partigiani la combatterono per noi, e quindi noi abbiamo nei loro confronti un debito di riconoscenza infinito.

Detto questo, penso però che vi sia, come in tutte le commemorazioni, un rischio altissimo di scollegare questa data dalla realtà e avvolgerla in una a-storicità in cui gli eventi, i fatti, addirittura i valori perdono contatto con l’oggi. Come tutte le industrie culturali, anche la letteratura che sta intorno alle celebrazioni del 25 aprile ha subito in questi anni un processo di “banalizzazione”. Per cui vengono ricordati i valori in una maniera sempre più ipostatizzata, sempre più sconnessa dalla vita reale del Paese, della società e della politica, perdendo quindi totalmente il loro valore prescrittivo, lasciandoli afoni rispetto alle vicende quotidiane.

Tutta la retorica della riconciliazione, così tenacemente perseguita dagli eredi della Repubblica di Salò sin dai tempi di Almirante, ha esattamente questo scopo: oscurare e neutralizzare l’origine della Repubblica, banalizzando gli eventi, il loro carattere conflittuale.

Così anche il centrodestra può parlare di libertà, di liberazione, di pace, di antifascismo, di Resistenza (come ha fatto il presidente del Consiglio lo scorso anno, partecipando alle commemorazioni) e poi agire sistematicamente per imporre il contrario, ossia lo stravolgimento di quell’impianto di valori e di prescrizioni cementato all’interno della nostra Costituzione.

Quindi il primo invito è a prendere sul serio, nel loro valore profondo, i fatti storici e i processi storici che riguardano quegli anni.

Prima di tutto il 25 aprile: il vero spartiacque della nostra storia contemporanea nazionale, il giorno in cui i partigiani insieme alle truppe alleate liberano le città di Milano e Torino. Quel giorno fu l’epilogo di una vicenda, quella della Resistenza, tutt’altro che pacificata. È l’epilogo di un periodo di quasi due anni, dall’armistizio dell’8 settembre 1943 alle vicende appunto dell’aprile 1945, intensissimo, tragico.

Per usare un’espressione contrastata ma che a me pare calzante di Claudio Pavone, in Italia furono due anni di guerra patriottica di liberazione, di guerra di classe e di guerra civile. La nuova Italia democratica e antifascista non nasce dall’affermazione teorica di valori di “libertà e giustizia”, ma nasce dalla guerra di 300mila donne e uomini – e con un consenso popolare via via crescente – contro l’invasione dell’Italia da parte dell’esercito nazista e contro le forze armate della Repubblica Sociale Italiana. Quindi: guerra di liberazione, per difendere l’Italia (perché già dal 1940 risulta evidente che la guerra combattuta dall’Italia a fianco dell’alleato nazista è una guerra del regime fascista e non degli italiani, come dimostra il numero bassissimo di volontari di guerra), guerra di classe (perché la composizione sociale delle brigate partigiane, ma anche dei Gap e delle Sap, dimostra che il proletariato cittadino e contadino aveva ben compreso quale fosse il carattere padronale del fascismo e quali interessi di classe difendesse) e guerra civile, perché contro la Resistenza si organizzarono altri italiani, che svolsero un ruolo determinante anche negli eccidi che infangarono il nostro Paese, e in particolare nella terza fase dell’occupazione militare tra l’Abruzzo, la Campania e l’Appennino tosco-emiliano nella rapida ritirata verso le linee difensive di Monte Cassino / linea Gustav (nel settembre-ottobre 1943) e la linea Gotica (nell’estate 1944): 10.000 morti civili rispetto ai quali i collaborazionisti italiani, fascisti, giocarono un drammatico ruolo di primissimo piano.

Il 25 aprile, dicevo, e la Costituzione.

Ecco, io vorrei provare a dire qualcosa sulla nostra Costituzione, per capire quanto è necessario e impellente per tutti noi difenderla con le unghie e con i denti, se necessario con un nuovo movimento di resistenza che parta appunto dalla radicalizzazione da parte nostra della coscienza dei fatti di cui stiamo discutendo.

La Costituzione si apre con dodici articoli che sono una solenne dichiarazione di principi fondamentali. Sono parte integrante della Costituzione e sono la sua base. Non solo cioè hanno una immediata efficacia normativa nei confronti del legislatore, ma pongono le linee direttive del disegno poi svolto nelle parti successive, forniscono il criterio generale di interpretazione.

Ebbene: in questi dodici articoli si dicono in sostanza due cose.

La prima: l’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro. Al primo articolo già si mette in chiaro quale sia il valore attribuito ai due termini del rapporto tra proprietà e lavoro, a chi sia assegnata la preminenza. In secondo luogo, all’articolo 3, dopo aver enucleato l’eguaglianza di tutti i cittadini (senza distinzioni di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali) si afferma una cosa straordinariamente innovativa, e cioè che è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che impediscono il pieno sviluppo dell’uomo e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese. La Costituzione stabilisce cioè un ordinamento interventista, che impone allo Stato di intervenire per rendere concreti e universali i diritti sociali dell’uomo.

Vi è poi un’altra parte della Costituzione che voglio richiamare per la sua straordinaria attualità. È il titolo III della parte prima (dedicato ai rapporti economici). Posto che all’art. 4 si riconosce il diritto al lavoro, in questa parte la Costituzione conferisce ai lavoratori la pretesa a collaborare alle gestione delle aziende cui siano addetti; richiede espressamente allo Stato una politica dell’occupazione e apre la strada alla possibilità di dare vita a provvedimenti espropriativi laddove le esigenze private di profitto non si armonizzassero con le esigenze di pubblico interesse.

Inoltre, la Costituzione impone (innovando anche su questo terreno lo schema costituzionale tradizionale, sottraendo la materia alla piena discrezionalità del legislatore) di effettuare redistribuzioni della ricchezza prodotta, non solo allo scopo di destinare la quota parte prelevata dallo Stato a fini sociali ma anche per limitare l’eccessivo accumulo di potere economico che, oltre ad accentuare le sperequazioni tra parte e parte della popolazione, tende a trasferire il suo peso nella lotta politica alterando l’equilibrio delle forze che ad essa concorrono. Sembra proprio che in questo punto la Costituzione parli di Berlusconi, e dell’immenso potere economico che egli ha prima accumulato e poi riversato nell’agone politico.

Per non parlare della seconda parte, che descrive le strutture organizzative che permettono di concretizzare, sul terreno dell’architettura costituzionale, i principi sostanziali enunciati nella prima parte. Innanzitutto con la creazione di un sistema di pesi e di contrappesi (il Capo dello Stato, lo stesso carattere rigido della Costituzione, la Corte costituzionale, e cioè la sottrazione al giudice ordinario del potere di accertamento della costituzionalità delle leggi, il Consiglio superiore della Magistratura) volti a controllare il potere esecutivo e ad impedire un suo utilizzo arbitrario da parte del governo.

Perché ricordo queste cose? Perché il governo non fa altro che calpestare, quotidianamente, i principi fondamentali della Costituzione e la lettera precisa di gran parte della nostra Carta.

Al punto che quando diciamo che la democrazia è in discussione, diciamo precisamente questo: che la democrazia nel nostro Paese è la conquista della lotta partigiana che, attraverso il contributo dei partiti, in primo luogo del Pci, ha trovato forma nella Costituzione. E il governo vuole stravolgere la Costituzione e dunque stralciare la democrazia.

A titolo di esempio, ricordo schematicamente questi elementi:

– il ruolo del Parlamento è quotidianamente esautorato (delle ultime 80 leggi approvate dalle Camere solo 7 sono leggi di iniziativa parlamentare, la stragrande maggioranza sono leggi di conversione di decreti-legge ministeriali: quindi il potere esecutivo fagocita il potere legislativo);

– le leggi ad personam, chiaramente anticostituzionali, come il legittimo impedimento (che blocca i processi del premier per i prossimi 18 mesi), firmato dal capo dello Stato o la legge sul processo breve;

– l’attacco insistito e sistematico ai giudici, alla Magistratura, e cioè al terzo potere dello Stato (quello giudiziario);

– l’atteggiamento nei confronti dell’informazione: l’Italia è al 40° posto nella classifica mondiale per la libertà di stampa dopo Cile, Benin, Namibia;

– e poi ci sono quei fatti che negano radicalmente il principio costitutivo della nostra Repubblica, e cioè il diritto al lavoro e la centralità del lavoro dipendente nell’intera architettura costituzionale: il gigantesco trasferimento di ricchezza dai salari ai profitti e alle rendite incentivato dal governo delle destre favorendo i ricchi e gli evasori fiscali (anche attraverso la depenalizzazione dei reati economici come il falso in bilancio); il dramma della precarietà e della disoccupazione (accentuati dalle politiche di dismissione industriale e da una legislazione sul lavoro iper-liberista), i diritti sociali (a partire dall’articolo 18 e dal contratto collettivo nazionale) sotto attacco.

Fatto questo elenco è obbligatorio capire che cosa possiamo e dobbiamo fare.

Mai come oggi, secondo me, dobbiamo imparare dalla storia.

È mia convinzione che il fascismo venne battuto innanzitutto con la geniale intuizione del Pci e in particolare di Palmiro Togliatti che, con la svolta di Salerno del marzo 1944, rinviò la questione monarchica al dopoguerra e aprì ad un governo di unità nazionale con Badoglio, Bonomi e dopo la liberazione con Parri e De Gasperi e, contestualmente, con l’unione di tutte le forze antifasciste nel Cln. Quindi il fascismo venne sconfitto su base istituzionale, grazie all’intelligenza tattica di chi si adoperò per costruire un fronte democratico il più ampio possibile.

Ma prima ancora il fascismo venne battuto dal lavoro di tutte le forze politiche democratiche dentro la società, ben prima del 25 luglio 1943 quando, dopo la caduta del regime, poterono comparire in piena luce.

Il fascismo entro in crisi irreversibile grazie agli scioperi di massa del marzo 1943, organizzati dai comunisti, grazie all’utilizzo intelligente della stampa clandestina, grazie ad un lavoro capillare tra la gente, di propaganda vera e propria, di agitazione sociale e sindacale.

Questo è il ruolo dei comunisti. Perché senza la loro eroica sopravvivenza in clandestinità quasi militare per vent’anni, senza il loro contributo di ingegno e il loro contributo armato (il 90% dei condannati del fascismo sono comunisti) non ci sarebbe stata nessuna liberazione.

Vedete, questa Italia assomiglia molto alla casa Cervi di Gattatico a Reggio Emilia dopo la fucilazione dei sette fratelli fucilati dai fascisti nel novembre 43.

Come quella casa, il nostro Paese è distrutto, devastato dal nuovo fascismo. E mi piacerebbe molto che noi potessimo dire, raccogliendo tutte le forze che abbiamo e indirizzandole verso questa nuova resistenza che ci attende, come disse il papà Alcide Cervi, dopo aver pianto: “Dopo un raccolto ne viene un altro. Andiamo avanti”.

Ecco, dobbiamo andare avanti perché abbiamo l’obbligo politico e morale di costruire un’Italia diversa da quella che è oggi e più simile a come l’avevano immaginata per noi i partigiani che la liberarono dal nazifascismo esattamente sessantacinque anni fa.

Se voi volete andare in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati. Dovunque è morto un italiano per riscattare la libertà e la dignità, andate lì, o giovani, col pensiero perché lì è nata la nostra costituzione. (Piero Calamandrei)

SIMONE OGGIONNI
25 Aprile 2010