La fine è il nostro inizio. Di referendum popolari e altri spauracchi delle elités

Il popolo e solo il popolo è la forza motrice che crea la storia del mondo” Mao Tse Tung

4 dicembre, ancora un altro voto che in questo 2016 segna la fine del mondo post-moderno, post-ideologico, post-tutto che ci siamo trovati sempre davanti noi nati negli anni ’90. Questa volta il voto è in Italia, nella nostra Italia che si conferma essere uno dei luoghi dove in un prossimo futuro, politicamente tutto sarà possibile (nel bene e nel male).

Un’ampia partecipazione e una netta imposizione dei NO che si trasforma in un plebiscito nei territori più poveri (al Sud la percentuale dei NO ha sfiorato il 70%), tra i lavoratori e le lavoratrici, tra i giovani perlopiù senza lavoro e senza futuro.

Erano decenni probabilmente che non si vedeva in Italia un voto così netto dal punto di vista sociale, degli schieramenti così precisi e netti tra chi ha sofferto questa disperata crisi e chi invece ha avuto i mezzi, di conoscenze o di reddito, per resistervi. Un voto di protesta è stato detto, un voto antisistema, contro il governo. Tutto vero, ma l’elemento simbolico che caratterizza questo voto non sembra potersi fermare alla, contingente, protesta contro il governo Renzi, ma debba essere inserito, al pari degli altri eventi politici che hanno caratterizzato gli ultimi anni del mondo occidentale, dal punto di vista strutturale, in una cornice complessiva dove non c’è più spazio per le identità politiche storiche che hanno caratterizzato il novecento, allora assolutamente coincidenti con quelle che erano le fratture sociali.

Ce lo siamo ripetuti come un mantra, la sinistra (sia essa moderata/ex socialdemocratica, sia essa radicale in tutte le sue sfumature) negli ultimi 15 anni non ha rappresentato più i lavoratori e le lavoratrici, il popolo di questo paese; gli ultimi anni ci restituiscono però, con una forza dirompente, uno scenario ulteriore: non solo la sinistra storica non rappresenta i lavoratori di questo paese, ma probabilmente non può, oggi, neanche più rappresentarli. Anni, decenni, di politiche portate avanti non per cambiare la struttura della società ma per amministrare l’esistente, ci restituiscono un contesto ove le identità politiche così come le immaginiamo non esistono più – se non in una parte residuale della società italiana – e di certo non coincidono con le identità sociali e popolari che si fanno e si disfano sulla base dei discorsi politici di volta in volta (contingentemente) egemoni.

E il risultato di questo referendum ci restituisce plasticamente l’identità di un NO che non è politica, bensì popolare, costruita principalmente intorno all’opposizione ad un nemico e attraverso un discorso politico genericamente anti-elitès, la cui forza performativa nella costruzione del consenso è dimostrata anche dal tentativo di risignificazione fattore dal (poco credibile in questo senso) fronte del SI. Con un elemento di avanzamento rispetto al passato: una nuova ripoliticizzazione, un diverso popolo costruito in questi mesi contro l’”alto”, le elites, l’establishment che si permette arrogantemente di cambiare la legge fondamentale del paese, su linee di frattura completamente diverse da quelle maggiormente presenti sino a qualche mese fa che riguardavano l’opposizione dei lavoratori italiani contro i lavoratori migranti.

Un momento di torsione della storia che non ci possiamo permettere di non capire riproponendo formule del passato. E’ giunta l’ora anche per coloro che si propongono l’obiettivo di un superamento del capitalismo in senso socialista, di una democratizzazione e redistribuzione del potere non solo politico ma anche economico, di affrontare la fine e il nuovo inizio. Ricostruire il consenso non sulla base di identità politiche storiche quale la dicotomia destra/sinistra che ad oggi non coincidono né possono coincidere con le identità popolari, stando a rappresentare solo una divisione tecnica all’interno degli amministratori dello stato di cose presenti, ma ripartire da discorsi politici che percorrano linee di frattura sociali, come l’opposizione basso/alto ma anche lavoro/rendita, individuino un nemico e nella costruzione egemonica del popolo possano contendersela con le significazioni reazionarie dei Salvini e co.

Non c’è più nessuna sinistra da rappresentare, ma un campo ampio e popolare da ricostruire, in un’Italia che mai come oggi è così fluida e disponibile al cambiamento. Da qui possiamo cambiare tutto o rimanere a difendere un campo ormai arido mentre forze barbariche, come già sta accadendo in altri paesi, spargono i semi del consenso ad odio e sofferenza.

Oggi più che mai tocca scegliere se essere dalla parte del passato, a difendere come preti i nostri riti, o costruire un popolo che guardi al futuro.

CLAUDIA CANDELORO – Portavoce Nazionale Giovani Comunisti/e

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