Le cave di Carrara: quando le “trincee di marmo” dei partigiani portano morte ai lavoratori

cave-di-marmoIeri è avvenuta l’ennesima tragedia sul lavoro, presso la cava Antonioli di Carrara, nel bacino marmifero denominato Gioia: duemila tonnellate di marmo sono crollate travolgendo e uccidendo due cavatori; un terzo è rimasto sospeso nel vuoto, privo di conoscenza ma per fortuna salvo; un quarto operaio è stato trasportato in ospedale per un malore dovuto allo choc.

Solo lo scorso novembre aveva perso la vita, nel lavoro in cava, un altro operaio.

Le cave di marmo di tutto il territorio di Massa Carrara sono un perfetto emblema del disprezzo capitalista verso la vita umana, l’ambiente, il rispetto delle regolamentazioni sulle concessioni e sulla stessa escavazione.

La legge prevede infatti che, sul totale del prodotto, non più del 75% sia composto da scaglie, utilizzate per il carbonato di calcio, mentre il restante 25% deve essere prodotto di pregio, il blocco di marmo vero e proprio. Per controllare che ciò avvenga, esistono delle postazioni presso le quali i camion trasportatori devono effettuare la pesa del prodotto; postazioni che chiaramente hanno un orario di apertura giornaliero, ma quotidianamente si vedono passare i camion al di fuori di questo orario: per quale motivo, se non perché si ha qualcosa da nascondere? Ecco la fine che fa il pregiato marmo apuano: utilizzato in forma di scaglie, invece che come pietra da cui ricavare arte e prodotti di pregio.

Anche lo smaltimento dei residui dell’escavazione ha le sue regole, puntualmente non rispettate: la “marmetola”, vera e propria polvere di marmo, riempie i fiumi che la trascinano a valle, dove sedimenta, trasformandosi in una melma solida che rimpicciolisce il letto dei torrenti. Il risultato? L’alto livello di inquinamento dell’acqua, quella che arriva nei rubinetti delle case, delle scuole, degli uffici. E, nei periodi di piogge appena più violente del comune, l’esondazione dei torrenti, con i conseguenti danni ai centri abitati e ai cittadini.

La ricchezza che giunge nelle casse dei comuni proprietari degli agri marmiferi è molto scarsa: nel territorio della città di Massa un metro quadrato di cava, attività che lascia il suo segno indelebile sulle montagne e che fa arricchire parecchio il titolare della concessione, costa 2,4 centesimi all’anno. Tanto per fare un confronto, un metro quadrato di suolo pubblico in area urbana, ad esempio per mettere qualche tavolo fuori da un bar, costa 55 euro all’anno. Il tutto mentre i concessionari finiscono indagati per evasione fiscale: nell’inchiesta avviata lo scorso febbraio si parla di 86,9 miliardi di euro evasi in due, tre anni.

Insomma, mentre i concessionari si sentono e si comportano da padroni, sfruttando anche l’odiosa arma del ricatto occupazionale in un territorio dove mancano sia il lavoro sia strategie industriali per il futuro, i cittadini ci rimettono in denaro, salute e sicurezza. E i lavoratori del marmo muoiono schiacciati da quella stessa pietra che dava loro di che vivere.

Per oggi i sindacati hanno indetto uno sciopero di 8 ore del settore marmo per ogni turno, per chiedere maggiore sicurezza sulle cave. E bisogna andare anche oltre: è necessario capire che le singole istanze non sono slegate, che il capitale non ha riguardo per niente e nessuno, dall’ambiente, alla salute, alla vita. Le Alpi Apuane e il marmo che contengono sono un bene collettivo: da questa consapevolezza dobbiamo partire per porre fine allo scempio e alle tragedie che su di esse si consumano.

IRENE BERTOZZI- Coordinatrice Giovani Comunisti/e Massa-Carrara

2 commenti su “Le cave di Carrara: quando le “trincee di marmo” dei partigiani portano morte ai lavoratori”

  1. Beniamino Rossi

    brava Irene ma io, tanto per la buona regola avrei aggiunto che, purtroppo, molto spesso i lavoratori del marmo si alleano con i baroni delle cave per pura avidità di danaro e noi che ci battiamo per una visione più dignitosa della vita veniamo scambiati per alieni.
    saluti comunisti

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