In Nepal una presidente femminista e comunista

Nepal. Il nuovo capo dello Stato del Nepal è una donna. È comunista (non maoista, ma ha avuto i voti anche dei maoisti), ha 54 anni, si chiama Bidhya Devi Bhandari. Il suo curriculum sono le battaglie in difesa delle donne in una società dominata dai maschi e dalle caste alte che dettano ancora la legge non scritta della tradizione

_86380586_029845640-1Il nuovo capo dello Stato del Nepal è una donna. Una donna comu­ni­sta. Ha 54 anni, si chiama Bid­hya Devi Bhan­dari e ha un cur­ri­cu­lum di tutto rispetto dove spic­cano le bat­ta­glie in difesa delle donne in una società domi­nata dai maschi e dalle caste alte che det­tano ancora – anche se forse sem­pre meno – la legge non scritta della tradizione.

La sua ele­zione è una sor­presa due volte. Per­ché per una donna non è facile farsi strada in Nepal e lei è la prima donna pre­si­dente del suo Paese e per­ché il suo sfi­dante, Kul Baha­dur Gurung, è comun­que una figura di peso anche se ha perso: è il lea­der del Con­gresso nepa­lese, il primo par­tito del Paese. Ma il voto del par­la­mento, dove il secondo e il terzo par­tito sono della mede­sima area, le ha dato una mag­gio­ranza piena: 327 voti su 549. Non è maoi­sta, come forse l’immaginario col­let­tivo la pensa alla noti­zia che in Nepal ha vinto una comu­ni­sta. Ma i voti dei maoi­sti (The Uni­fied Com­mu­nist Party of Nepal-Maoist, 80 seggi su 575) sono stati determinati.

Il suo par­tito, Com­mu­nist Party of Nepal-Unified Marxist–Leninist, poteva con­tare solo su 175 scranni. L’alleanza ha retto men­tre al par­tito del Con­gresso invece non sono bastati gli alleati e i 196 seggi gua­da­gnati nelle ultime ele­zioni (2013). La con­vi­venza coi maoi­sti, che un prezzo lo avranno pur chie­sto, non rap­pre­senta al momento un pro­blema: Bhan­dari può con­tare sul primo mini­stro Sharma Oli– l’uomo che ha il potere ese­cu­tivo in Nepal – che è comu­ni­sta come lei, ed è anzi è il capo del par­tito di cui lei è comun­que stata vice­pre­si­dente. La poli­tica la cono­sce bene: nella base, nel par­tito, nel governo dove Bhan­dari ha già rico­perto un inca­rico isti­tu­zio­nale. E’ stata mini­stro della Difesa, un ruolo deli­cato in un Paese dove la guerra civile è stata una realtà per dieci anni e che si è con­clusa con un accordo poli­tico solo nel 2006 dopo 15mila vit­time e tra 100 e 150mila sfol­lati interni. Da allora il Paese ha cam­biato faccia.

Il cam­mino è stato lungo e resta ancora dif­fi­cile. Que­sta pic­cola nazione hima­la­yana, cer­niera tra India e Cina, con solo 30 milioni di abi­tanti sparsi su un ter­ri­to­rio grande la metà dell’Italia (147mila kmq) e con­no­tato da mon­ta­gne altis­sime e da un’enorme diso­mo­ge­neità etnico lin­gui­stica, è stata una monar­chia mono­li­tica fino al 2008. Caduta pagando un prezzo ele­vato. E’ un vasto movi­mento popo­lare ad averla abbat­tuta ma sono stati i maoi­sti a segnare il punto di svolta. Una svolta dif­fi­cile che alla fine por­terà, solo nel set­tem­bre scorso, alla nuova, sof­ferta Costituzione.

Nuova e inno­va­tiva per­ché è la prima in Asia che pro­teg­gere ad esem­pio i diritti dei gay. Sof­ferta per­ché la sua appro­va­zione è stata bagnata dal san­gue di 40 morti nelle mani­fe­sta­zioni di piazza che hanno pre­ce­duto il voto finale a cui si è arri­vati con molte dif­fi­coltà. Non ancora finite. La Costi­tu­zione, che fa del pic­colo Paese mon­tano una repub­blica fede­rata di sette pro­vince, lascia scon­tente molte mino­ranze in una nazione dove si par­lano oltre cento lin­gue diverse e dove le comu­nità più mar­gi­nali e peri­fe­ri­che si sen­tono sotto rap­pre­sen­tate. Una sfida per la nuova presidente.

Non­di­meno, il Paese va avanti, in un equi­li­brio dif­fi­cile recen­te­mente tur­bato dal sisma che ha fatto strage di uomini, ani­mali, abi­ta­zioni, strut­ture e monu­menti anche nella capi­tale (400mila vivono ancora in rifugi ina­de­guati all’inverno che si sta avvi­ci­nando, secondo la rete di Ong ita­liane “Agire”). Un Paese dove i nodi del sot­to­svi­luppo restano in gran parte intatti in una zona del mondo domi­nata ancora dalle regole castali e da rap­porti semi feu­dali che rego­lano la vita di comu­nità pre­va­len­te­mente agri­cole (75% della forza lavoro). Un Paese in equi­li­brio dif­fi­cile anche per la sua posi­zione geo­gra­fica di Stato “cusci­netto” schiac­ciato tra i due grandi colossi del con­ti­nente, Delhi e Pechino. Che ora cul­lano, ora minac­ciano, alla ricerca di una supre­ma­zia che per anni è stata gua­da­gnata dall’India che di gran parte del Nepal influenza cul­tura e tra­di­zione e che preme ai suoi con­fini con uno degli eser­citi più potenti del mondo.

I cinesi non sono da meno: guar­dano con occhio tra­verso le comu­nità bud­di­ste e tibe­tane che in quel Paese tro­vano rifu­gio e pro­vano a stuz­zi­care Kath­mandu con la pro­messa dello svi­luppo. Pro­prio ieri il Nepal ha fir­mato un accordo con la Cina che di fatto mette fine al mono­po­lio indiano per le for­ni­ture dei pro­dotti petro­li­feri. Si tratta di un mono­po­lio che durava da 45 anni.

Anche que­sti nodi su un pet­tine sfi­lac­ciato toc­che­ranno a Bid­hya Devi Bhan­dari, una sto­ria di mili­tanza poli­tica, di bat­ta­glie in difesa delle donne e delle mino­ranze (che potreb­bero essere un suo punto di forza) e una sto­ria per­so­nale gra­vata da un dramma che le ha tolto il marito, Madan Bhan­dari, uno dei più noti lea­der comu­ni­sti del Paese: è vit­tima di un inci­dente di auto nel 1993 su cui si sono acca­val­lati molti dubbi che nes­suna inchie­sta è riu­scita a chiarire.

Dall’altra parte della bar­ri­cate, accanto all’appoggio indi­scusso del pre­mier, resta comun­que il potente par­tito del Con­gresso, pas­sato indenne per tutte le sta­gioni (è nato nella sua forma pri­mi­ge­nia nel 1947 e ha vinto le prime ele­zioni demo­cra­ti­che nel 1991) e un par­tito maoi­sta con un lea­der cari­sma­tico, Pushpa Kamal Dahal, più comu­ne­mente noto come il com­pa­gno Pra­chanda. Si dovrà tenerne conto come si dovrà tener conto dell’applicazione della prima Costi­tu­zione repub­bli­cana del Paese, in que­sti mesi alla sua prima vera prova del fuoco.

EMANUELE GIORDANA

da il manifesto

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