Dentro l’inferno di Kobane

Intervista a Zanyar Omrani, regista kurdo

Kobane-2Zanyar Omrani è un regista e documentarista kurdo iraniano. Ha recentemente realizzato un documentario sui giornalisti che lavorano nella città di Kobane e nei fronti della battaglia tra forze kurde e combattenti di IS dal titolo “Inside Kobane”. Visto l’enorme successo internazionale riscontrato dal documentario, abbiamo deciso di intervistare Zanyar per approfondire i temi e le sensazioni lasciati dal documentario stesso.

L’intervista è di grande attualità visti anche gli sviluppi militari nel Rojava (Kurdistan siriano): le forze kurde proprio oggi sono riuscite ad avanzare una pesante offensiva contro IS per riprendere il controllo di Kobane, riconquistando importanti settori della città. Nel frattempo, ad Hasaka (altro centro urbano del Rojava) è in corso un acceso scontro armato tra le forze di difesa kurde – che controllano militarmente la città – e l’esercito siriano regolare di Assad, che da venerdì notte sta tentando di stabilire nell’area dei check point d’avanguardia.

Zanyar, puoi raccontarci perché e quando hai deciso di realizzare questo documentario?
In realtà non l’ho pianificato. Inizialmente pensavo di realizzare dei report e intervistare guerriglieri durante il mio periodo a Kobane. Dopo un paio di giorni mi sono reso conto di essere testimone di suoni e immagini che ero obbligato a portare con me una volta uscito dalla città.

 Puoi spiegarci come sei riuscito ad entrare a Kobane?
Sono entrato clandestinamente dal confine turco; l’intero viaggio è durato 3 giorni molto estenuanti e chiaramente pericolosi.

 Il documentario “Inside Kobane” racconta dettagliatamente il lavoro che giornalisti locali stanno facendo a Kobane. Perché hai deciso di affrontare questo argomento?
Queste persone stanno mandando in giro al loro meglio immagini e video della guerra; per chiare ragioni le loro vite, la loro audacia e il loro coraggio mi hanno ispirato. Inoltre, mentre loro stanno vivendo nel cuore degli eventi altri corrispondenti, mentre indossano quei goffi elmetti sulle colline di Suruç, seminano odio a vantaggio delle loro agenzie stampa. Molti stanno solo aspettando la caduta di Kobane. Io volevo raccontare la storia degli “altri” giornalisti e dei loro incessanti sforzi.

I giornalisti del documentario sono tutti kurdi. Ritieni che ci sia una sufficiente copertura dei media internazionali riguardo la situazione di Kobane? Come si potrebbe rafforzare il supporto a giornalisti locali o aprire nuovi canali di comunicazione?
C’è abbastanza copertura degli eventi in generale, ma non molto della resistenza. Prendiamo ad esempio gli ultimi giorni, nei quali l’interesse per Kobane sta diminuendo, proprio nel momento in cui sta attraversando i suoi giorni più difficili e la presenza di colossi dell’informazione internazionale sarebbe vitale per la sua sopravvivenza. Ma tutti sembrano aver dimenticato Kobane. Sarebbe sufficiente far affidamento sui giornalisti in loco, in modo che siano loro il canale preferenziale tra noi e gli eventi di Kobane; questo potrebbe essere di grande aiuto per loro.

Malgrado la drammatica situazione a Kobane, il documentario ci mostra una quotidianità piena di speranza e spesso di sorrisi. Questa è la sensazione che hai ricevuto dalle persone a Kobane o è stata una scelta registica?
Queste meravigliose sensazioni sono solo una piccola parte degli indimenticabili momenti di umanità da parte delle persone coinvolte nella resistenza. Ho tentato di usare la mia telecamera come mezzo per raccontare le relazioni tra le persone e gli eventi nella città di Kobane. Quello che ho raccolto è solo una piccola parte di quello che realmente accadeva.

 Cosa ti ha maggiormente colpito nel periodo trascorso a Kobane?
Lo spirito di squadra tra i combattenti e l’atmosfera allegra. Era come un sogno. Mi ha fatto riflettere sul nostro stile di vita urbano disumanizzato, nel quale abbiamo perso noi stessi per instaurare relazioni principalmente di tipo commerciale.

Il documentario mostra molti kurdi iraniani arrivati a Kobane per combattere. Da kurdo iraniano, sai dirci se la maggior parte dei kurdi in Iran stanno appoggiando la resistenza a Kobane e la rivoluzione nel Rojava (Kurdistan siriano)?
La maggior parte degli iraniani, sia kurdi che non kurdi, ha espresso il proprio supporto formale alla resistenza di Kobane e del Rojava. Non posso dire molto riguardo il supporto materiale alla resistenza, in quanto le mie idee sarebbero supposizioni non basate su nessuna ricerca scientifica.

Quali conseguenze credi che avrà sul futuro del Kurdistan e dei movimenti kurdi la situazione a Kobane e la rivoluzione nel Rojava?
Dal mio punto di vista, gli eventi nel Rojava sono stati un punto di svolta nella sfera politica del Kurdistan che, se dovesse aver seguito, potrebbe ispirare i popoli del Medio Oriente a una maggior presa di coscienza, la qual cosa potrebbe non piacere a chi ha mire colonizzatrici nell’area.

Intervista a cura di Bianca Benvenuti e Flavia Cappellini

*Special Thanks: Sinistra in Europa

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