La sporca guerra raccontata dagli obiettori israeliani

israel-palestineSono decine di migliaia gli ebrei che si oppongono al loro governo sionista, e per questo vengono maltrattati e incarcerati. Ebrei israeliani che organizzano manifestazioni pacifiste in tutto il paese, e giovani obiettori di coscienza che si rifiutano di combattere.
Esempi che suscitano ammirazione e speranza, come la vicenda di Uriel Ferera, imprigionato nelle carceri militari israeliane per il suo rifiuto ad arruolarsi per motivi di coscienza, sull’onda di un vero e proprio fenomeno sociale che si sta diffondendo a Israele: sempre più cittadini che si rifiutano di prestare servizio nelle Forze di Difesa Israeliane.

Uriel, diciottenne ebreo ortodosso nato in Argentina da madre fotografa originaria di Buenos Aires (anche lei impegnata nella causa della pace), lo scorso 20 luglio ha diffuso questo messaggio: “Ciao, sono Uriel Ferera. Ho 19 anni e vengo da Be’er Sheva. Ho già trascorso 70 giorni in prigione, 4 volte consecutive, per essermi rifiutato di arruolarmi, per motivi di coscienza. Violazione dei diritti umani, uccisioni e umiliazioni del popolo palestinese nei territori occupati sono i motivi principali del mio rifiuto all’arruolamento. Per me, in quanto onesto credente, questo è assolutamente in contraddizione con la visione che Dio ci crea tutti a sua immagine e somiglianza, e noi non abbiamo il diritto di fare del male ad alcun essere umano. È ora in atto un’operazione militare a Gaza. L’esercito sta attaccando obiettivi dove uomini innocenti, donne e bambini vivono. Spero che questa operazione finisca, e che l’occupazione finisca, e che noi tutti possiamo vivere in pace su questa terra. Domani (21 luglio, n.d.r.) dovrò presentarmi alla base di insediamento militare e rifiuterò ancora una volta. Inizierò il mio quinto periodo consecutivo in prigione. Sono orgoglioso di me stesso di andare in prigione, e di non prendere parte in crimini di guerra.”

E infatti il suo ultimo post – foto di magliette insanguinate appese per le strade, e un video della “Protest Rally – We Refuse to Close our Eyes – Gaza 2014″, lettura pubblica di testimonianze di soldati da Gaza”, svoltasi il 17 luglio ad Habima Square, Tel Aviv – risale a 2 giorni fa: il 21 luglio Uriel è stato condannato a scontare 20 giorni nella prigione militare di Tel Hashomer n. 6 vicino Atlit, accompagnato da una dimostrazione di sostegno per il suo rifiuto ad arruolarsi nell’esercito.

In un altro post su Facebook, Uriel ha commentato la sua ultima scarcerazione: “Mi hanno liberato oggi, lunedì 14 luglio dal quarto periodo di incarcerazione. La data di liberazione era il 16 luglio, però mi hanno liberato anzitempo perché nella prigione militare avevano bisogno di fare spazio e liberavano quelli che dovevano uscire in settimana. Ho l’ordine di presentarmi alla base il 16. Grazie per il vostro appoggio e per la manifestazione di venerdì. Non è la mia lotta, la lotta principale è finirla con l’occupazione e l’oppressione del popolo palestinese. Mi rifiuto di arruolarmi nell’esercito perché non voglio collaborare con crimini di guerra, spargimento di sangue e uccisioni di bambini. Spero vi siano più obiettori di coscienza e riservisti che rifiutino di combattere, perché non è logico parlare di pace quando stiamo bombardando civili a Gaza.”

Riferisce Maureen Clare Murph, caporedattrice di Electronic Intifada, che parallelamente il governo israeliano sta mettendo in atto una strategia che mira a imporre divisioni settarie tra palestinesi cristiani e musulmani: a febbraio il Parlamento (Knesset) ha approvato una legge che identifica i palestinesi cristiani come minoranza non-araba, corteggiando nel frattempo alcuni membri del clero e della comunità cristiana per la promozione del servizio militare, inviando cartoline ai giovani palestinesi cristiani che li incoraggiano ad arruolarsi. Esistono molti benefici statali di cui si può godere attraverso la leva, tra cui un posto di lavoro assicurato. Tuttavia, gli sforzi di reclutare giovani hanno incontrato la resistenza degli studenti palestinesi nelle università israeliane, con il lancio di una campagna da parte di alcune organizzazioni della società civile.

I gruppi minoritari come i Drusi, i palestinesi arabi con cittadinanza israeliana, che compongono circa il 20% della popolazione dello Stato, furono obbligati a svolgere il servizio militare nell’esercito israeliano in seguito alla decisione dell’allora Primo Ministro Ben Gurion nel 1956. Ciò comporta che i cittadini in età da lavoro fossero arruolati con ordini di mobilitazione. Per questo, oggi un numero sempre crescente di giovani drusi si sta rifiutando di servire nell’esercito israeliano per combattere contro il loro stesso popolo, e lo Stato si deve confrontare oggi con un’iniziativa organizzata all’interno della comunità contro l’arruolamento obbligatorio e il riconoscimento dei diritti del resto della società araba-palestinese a Israele (traduzione di Cecilia Dalla Negra).

È il caso di uno dei primi, giovani e più determinati obiettori di coscienza in Israele, Omar Saad, diciottenne palestinese druso proveniente dal villagio di Al-Mughar, in Galilea. Omar, violista, fu incarcerato per la prima volta il 4 dicembre 2013 dopo che lui e i suoi fratelli eseguirono una protesta musicale fuori da un centro di detenzione militare israeliano in Galilea – dove la maggior parte dei palestinesi nell’attuale Israele risiedono – e in seguito al suo rifiuto ad arruolarsi nell’esercito israeliano. Omar ha giustificato il suo rifiuto con una lettera aperta (tradotta in più lingue, italiano compreso):

“Signor Ministro della Difesa di Israele
Io sono Omar Zahredden Mohammad Saad proveniente dal villaggio Maghar, Galilea.
Ho ricevuto l’ordine di arruolarmi nell’esercito il 31 ottobre 2012 secondo gli accordi sulla leva obbligatoria per la congregazione Drusa, e di seguito la risposta alla sua richiesta:
Rifiuto di arruolarmi perchè non accetto la legge che prevede l’arruolamento obbligatorio opposto alla mia congregazione Drusa.
Lo rifiuto perchè sono un pacifista, e odio ogni tipo di violenza, e credo che l’esercito sia il massimo della violenza fisica e psicologica, e da quando ho ricevuto l’ordine di iniziare con le procedure per l’arruolamento la mia vita è cambiata completamente. Sono diventato molto nervoso e i miei pensieri confusi. Mi sono ricordato di migliaia di immagini crude e non potevo immaginare me stesso ad indossare l’uniforme militare, partecipando alla soppressione del mio popolo palestinese, combattendo i miei fratelli arabi.
Rifiuto l’arruolamento nell’esercito israeliano o in ogni altro esercito, per ragioni morali e nazionali.
Odio l’oppressione e disprezzo l’occupazione. Odio pregiudizi e restrizioni alla libertà.
Odio chi arresta bambini, vecchi e donne.
Sono un musicista e suono la viola. Ho suonato in numerosi posti e ho molti amici musicisti da Ramallah, Gerico, Gerusalemme, Hebron, Nablus, Jenin, Shafaamr, Elaboun, Roma, Atene, Beirut, Damasco, Oslo ed altro ancora. E tutti noi suoniamo per la libertà, umanità e pace. La nostra arma è la musica e non ne avremo di alcun altro tipo.
Faccio parte di un gruppo oppresso da una legge ingiusta, quindi, come possiamo combattere contro i nostri parenti in Palestina, Siria, Giordania e Libano? Come posso lavorare come soldato al check point di Qalandia, o in qualsiasi altro check point di occupazione quando io stesso ho provato l’esperienza di oppressione in questi check point?
Come posso impedire alle persone di Ramallah di visitare Gerusalemme? Come posso fare la guardia al muro dell’apartheid?
Come posso fare da carceriere per il mio popolo, mentre so che la maggior parte dei prigionieri sono detenuti in cerca di diritti e libertà?
Suono per divertimento, libertà, e solo per la pace che si basa su fermare gli insediamenti e il ritiro dell’occupazione israeliana dalla Palestina. Per l’istituzione di una Palestina indipendente con Gerusalemme come capitale, per il rilascio di tutti i prigionieri e per il ritorno in patria di tutti i rifugiati espulsi.
Molti dei nostri giovani hanno servito sotto la leva obbligatoria e cosa hanno ricevuto alla fine? La discriminazione in tutti i campi. I nostri villaggi sono i più poveri della regione, le nostre terre sono state confiscate, non abbiamo mappe strutturate, non abbiamo zone industriali.
Il numero di laureati nella nostra regione è il più basso e soffriamo molto il mancato sviluppo.
Questa legge sulla leva obbligatoria ci ha isolati dal mondo arabo.
Per quest’anno ho intenzione di continuare i miei studi superiori e mi auguro di continuare pure gli studi accademici.
Sono sicuro che lei proverà a mettere ostacoli a fronte delle mie ambizioni di uomo, ma io lo dirò a voce alta: ‘Sono Omar Zahreddeen Saad. Non sarò una vittima della vostra guerra e non sarò un soldato del vostro esercito.’ Firmato: Omar Saad”

La lettera, neanche a dirlo, non ha ricevuto risposta né dal primo Ministro né dal Ministro della Difesa. In compenso, continuano a volerlo arruolare, è stato imprigionato sei volte (l’ultima a marzo) e agli avvocati civili – inclusi gli avvocati del New Profile, un groppo per la demilitarizzazione della società israeliana – non è più permesso visitare Saad o altri obiettori di coscienza durante la loro incarcerazione in prigioni militari. E come se non bastasse,150 giorni di carcere non lo hanno lasciato fisicamente indenne. Omar a giugno era ricoverato a casa a causa di una grave infezione al fegato che, secondo il padre, avrebbe contratto per le misere condizioni in cui versava il carcere in cui è stato detenuto: “Omar è entrato in prigione come persona in salute, musicista, atleta, e questo è come ne è uscito.” Il giovane dal canto suo non molla e sostiene Uriel nella comune causa.

Natan Blanc, ebreo israeliano e uno degli obiettori di coscienza da più tempo, negli ultimi anni ha fatto avanti e indietro fra casa e prigione, passando 158 giorni in prigioni militari prima di venir finalmente esonerato dal servizio.
Natan ha iniziato a essere convocato per la leva quando aveva 15 anni. Nel febbraio 2013 raccontò ad Amnesty International: “Nessuno parla di garantire ai palestinesi uguali diritti, o il diritto di voto. Io non voglio prendere parte a questa situazione… voglio stare dietro alle mie azioni e non voglio fare cose che vanno contro la mia coscienza.” Natan piuttosto voleva arruolarsi nel servizio medico di emergenza di Israele, il Magen David Adom (la branca israeliana della Croce Rossa), ma le autorità hanno negato agli obiettori di coscienza il diritto di fare servizio civile alternativo. In Israele non esiste servizio civile alternativo alla leva militare.
Il gruppo anti-militarista New Profile e molte altre associazioni per i diritti umani, comunità e organizzazioni politiche – tra cui Amnesty International, Baladna e il Druze Initiative Committee – hanno lanciato una petizione online facendo appello affinché Israele cessi gli arresti nei confronti degli obiettori di coscienza.

Il 6 giugno scorso il gruppo di attivisti israeliani “Breaking the Silence” ha organizzato in piazza Habima, nel centro di Tel Aviv un evento-maratona di 10 ore nel corso del quale è stata data la parola ad ex soldati israeliani e ad altri che sono tuttora in servizio, per esprimere pubblicamente le loro testimonianze contro l’esercito israeliano davanti a una folla di persone israeliane curiose e che condividevano le stesse opinioni. Si stima fra 350 e 400 coloro che hanno preso parte a questo evento.
Tra i nomi di alcuni degli ex soldati che hanno partecipato all’evento – Avner Guaryahs, Yoni Levy, Shay Davidovich, Nadav Bigelman-, ecco alcuni passaggi delle quattro testimonianze più significative.

Itamar Shwartz
Eravamo nel 2002, il giorno della finale della coppa del mondo. Erano circa le 13 o le 14 – ora israeliana. C’era canicola ed eravamo molto stanchi. Mi ricordo che quel giorno ci siamo fermati davanti ad una delle case mentre una voce nella nostra radio ripeteva: “Dobbiamo trovare un posto con televisione. Dobbiamo seguire la finale.” Era la cosa più assurda. Hanno fatto irruzione in una casa in cui c’erano solo donne e bambini. I soldati hanno rinchiuso tutti nella cucina e si sono sistemati per guardare la partita, per due ore. Io non riuscivo a credere a quel che stava succedendo.

Adi Mazor
Voi potete mentire, proprio come in questo caso. Il mio comandante ha preso il telefono e ha detto: “Noi vediamo là alcuni bambini che lanciano pietre sul muro”. Sicuro, non c’era alcun bambino. Niente. Aveva mentito. Noi abbiamo detto “d’accordo” e il mio collega ed io siamo saliti sul carro. Abbiamo sbloccato una granata stordente e l’abbiamo gettata sopra il muro. C’è stato un grande scoppio. Mi sono accorta di un Palestinese che lavorava nel suo campo. Era atterrito.
Ricordo di essere stata molto fiera del mio gesto. Poi la sensazione di eroismo è presto diventata una sensazione di vergogna. Avevo vergogna di me stessa. Era come se il territorio palestinese fosse un nostro terreno di gioco dove potessimo fare quel che volevamo in qualsiasi momento.

Gil Hellel
Per principio, noi eravamo un’unità mista sul terreno per gestire i disordini provocati dagli Ebrei. La popolazione nella colonia ebraica di Avraham Avinu è nota per essere difficile da gestire e origine di molti problemi. Tutta la città di Hebron è il focolare dei coloni più estremisti, giunti lì per una missione, per così dire: la riconquista della Terra d’Israele. Loro molestano continuamente ogni giorno i Palestinesi che vivono laggiù. In mezzo a tutto ciò, ricordo di aver pensato dentro di me “Ma per l’amor di Dio, cosa sto facendo io qui? Chi sono davvero in procinto di difendere?”

Noam Chayut
C’era grande folla che tentava di attraversare il checkpoint per spostarsi da Gerusalemme a Ramallah, cioè per uscire da quello che noi definiamo il legittimo Israele. Noi li perquisiamo allo stesso modo nei due lati del passaggio. Una volta c’era tra la folla un’adolescente o una giovane donna occidentale, o europea. L’ho guardata e in qualche modo le ho fatto segno di fare il giro invece di aspettare con gli altri. Lei è arretrata di un passo e ha cominciato ad urlare in inglese. “Perché? Che differenza c’è fra me e questa donna con i suoi marmocchi che piangono in coda?” Evidentemente, non ho potuto rispondere, perché non c’era risposta. (Andrea DiCenzo – MEE, Traduzione di Maria Chiara Tropea – Donne in nero)

Ma non solo militari, ex militari e ragazzi arruolabili. Ci sono anche altre prese di posizione da parte dei cittadini israeliani. Come quella di questa ragazza:
“Cara gente di Gaza,
Qualsiasi cosa stia per dire sembrerà priva di senso di fronte a ciò che state attraversando. Però al momento è l’unico strumento che ho – le mie parole. Mi chiamo Naomi Levari (regista e produttrice teatrale e cinematografica, n.d.r.) e vivo in Israele. Mi vergogno e vi chiedo perdono. Mi preoccupo per voi, piango per voi e soffro per le vostre perdite.
Questi sono giorni bui e so che questo non può consolarvi in alcun modo. Ma qualcuno di noi sta facendo tutto quello che può – che non è molto – per mettere fine a tutto questo: dimostrazioni, momenti pubblici, e nei nostri cuori stiamo chiedendo che le nostre preghiere siano ascoltate nel cielo al di sopra delle nostre anime. A voi non è più rimasta alcuna parola.
E io spero che tutto questo cambi presto. Mi appello ai governanti di Israele perché si comportino come persone responsabili, come leader, e che pongano immediatamente fine a questo spargimento di sangue. Ricordo al popolo di Israele che questo non è un videogame, che non ci sono vincitori e vinti, punteggi e classifiche: ci sono solo sconfitti. La gente continua a essere uccisa, le case ad essere distrutte, i sogni ad essere seppelliti. La società israeliana sta perdendo la sua tolleranza e sta diventando una banda di delinquenti.
L’unica cosa che possiamo fare è – ancora una volta -chiedervi perdono e usare tutti gli strumenti che abbiamo per fermare tutto questo.
State al sicuro.”

CLAUDIA GALATI

da Contro la crisi.org

Questo sito o gli strumenti terzi da questo utilizzati si avvalgono di cookies necessari al funzionamento ed utili alle finalità illustrate nella cookies policy. Se vuoi saperne di più o negare il consenso a tutti o ad alcuni cookies, consulta la cookies policy. Cliccando sul pulsante "Accetto" acconsenti all’uso dei cookies.