“GIOVANI SENZA LAVORO? SERVE IL SISTEMA TEDESCO”

di Paola Giaculli

Il governo tedesco vuole far scuola non solo in fatto di disciplina finanziaria, ma anche nell’istruzione. Il motivo che sottende a questi pesanti tentativi di condizionamento è quello economico: se l’economia tedesca funziona, dipende dal nostro sistema di istruzione, dice la ministra del Lavoro tedesca Ursula Von der Leyen in un’intervista al Corsera (11 giugno). Oggetto in causa è il cosiddetto sistema duale, una formula mista di formazione scolastica e avviamento alla professione, sulla base del quale si stanno concludendo molteplici accordi bilaterali in particolare con Spagna, Portogallo e anche con l’Italia, come avvenne con il convegno congiunto della ministra tedesca e della ministra Fornero a Napoli nel novembre 2012, che venne contestato dagli studenti.

L’intenzione dichiarata degli accordi è quella di creare occupazione per i giovani, colpiti così duramente dalla recessione economica, che in realtà è indotta soprattutto dal diktat delle politiche europee di austerità e di rigidità finanziaria.

In questa logica l’istruzione deve essere asservita alle imprese, secondo lo schema offerto dal sistema tedesco che il governo Merkel presenta come la panacea contro la disoccupazione giovanile. In effetti, la disoccupazione tra i giovani è in Germania relativamente bassa (7,5%, rispetto al 6,8% del dato ufficiale di disoccupazione totale), ma questo è dovuto anche alla precarizzazione del mercato del lavoro introdotta dal governo Schröder di dieci anni fa, per cui contratti a tempo, a progetto e part-time sono ormai ampiamente diffusi, e in specie tra i giovani. Essere occupati non significa esserlo a tempo pieno o percepire retribuzioni che garantiscano la sussistenza.

È in questo quadro che a Roma il 14 giugno si incontreranno i ministri economico-finanziari e del lavoro di Germania, Francia, Spagna e Italia, con l’intento di imparare tutti qualcosa dalla grande scuola tedesca.

Cioè per creare occupazione, e competitività, non basta adeguare le costituzioni alla disciplina finanziaria con il pareggio di bilancio. Ora si cercherà di adeguare anche l’istruzione al modello della prima economia europea.

Per il momento il governo tedesco, dando l’impressione di voler correggere l’intransigenza sui bilanci, sembra voler dare prova di generosità finanziando per esempio progetti di scuola-apprendistato in Portogallo, già incline a importare il modello tedesco, e stipulando accordi non vincolanti con la Spagna per  il trasferimento di forze giovani (per  5.000 unità) da addestrare o assumere nelle aziende tedesche.

Già sono molti i giovani emigrati in Germania: nel 2012 si sono registrati ufficialmente 30.000 nuovi arrivi da Spagna (il triplo del 2008), 34.000 da Grecia (il quadruplo da del 2008) 11.000 da Portogallo e ben 42.000 dall’Italia.

Chi ha competenze tecniche riesce meglio a trovare lavoro, anche se spesso a retribuzione inferiore di quella di un nativo, con corsi di lingua pagati dalle imprese. Per molti invece, provenienti soprattutto dai paesi dell’Europa orientale la situazione è di emergenza umanitaria: attratti dalla prospettiva di lavoro in Germania, che rappresenta per molti un miraggio di lavoro garantito, vengono sfruttati senza pietà e spesso senza nemmeno percepire retribuzione, nei cantieri, nei servizi di assistenza agli anziani o sanitari, nel settore di lavorazione delle carni, delle pulizie, preda di un caporalato internazionale che non conosce né contratti né diritti.

Per l’ufficio di consulenza del sindacato che si occupa dei lavoratori di altri paesi, è molto difficile, inoltre, nell’intreccio di subappalti, individuare specifiche responsabilità.

Il governo tedesco si appresta con la promessa di corsi di lingua e di apprendistato a fare incetta di giovani promesse, riducendo così, come ammettono gli stessi giovani costretti a emigrare, le chances di rinascita dei propri paesi cui si sottraggono le forze più vitali.

Nell’immediato la dimostrazione di buona volontà da parte del governo del rigore, che ora sembra voler far fronte all’emergenza disoccupazione giovanile, può essere dettata da un calcolo elettorale in vista delle prossime elezioni in Germania.

L’incontro dei ministri dei quattro paesi a Roma, in vista del vertice europeo, si svolge anche in questo quadro. Comunque il vertice a quattro non farà che confermare il paradigma della stabilità coronandolo con le buone intenzioni a favore dell’occupazione giovanile, da finanziare tra l’altro con i fondi strutturali europei, distolti da altre voci in bilancio.

L’ordine del giorno del Consiglio europeo del 27-28 giugno andrà probabilmente in questa direzione. La cancelliera Merkel completerà poi il suo disegno in vista delle elezioni con un vertice straordinario per l’occupazione giovanile il 3 luglio a Berlino.

In questo modo si aggiudicherà (almeno in casa propria, ma forse anche in altri paesi), oltre al merito di aver sistemato i conti in Europa, anche quello di aver provveduto con generosità a dare un lavoro ai tanti giovani allo sbando, e a preservare la democrazia, che il ministro delle finanze tedesco Schäuble vede a rischio nell’attuale situazione (si veda intervento sull’autorevole quotidiano conservatore Frankfurter Allgemeine Zeitung del 3 giugno).

Il ministro aveva già addirittura redarguito la Commissione europea per l’inattività o la lentezza dimostrata nell’affrontare il problema, dichiarando di non voler più aspettare, e che la Germania avrebbe cominciato a intraprendere in proprio misure bilaterali con i paesi più colpiti dalla disoccupazione giovanile. L’operazione passa anche per l’attivismo della ministra del lavoro, che dà al governo un’immagine di modernità (la ministra è favorevole alle adozioni per le coppie omosessuali) e un profilo sociale (il suo ministero ha lanciato l’allarme sulle pensioni al di sotto della soglia di povertà).

In tutto questo si nasconde un aspetto culturale insidioso: voler prendere a modello il cosiddetto sistema duale dell’istruzione tedesco vuol dire tentare di esportare un modello classista e selettivo di scuola e di società. Infatti, il sistema d’istruzione tedesco non è inclusivo, e viene preso di mira dall’Onu, e non in ultimo dalla stessa Commissione (anche nella raccomandazione sul programma di riforme nazionale per la Germania del 2013), per le discriminazioni che esso comporta.

A farne le spese sono soprattutto i diversamente abili, sia psichici che fisici, che vengono sistematicamente esclusi dal sistema e collocati nelle cosiddette “Förderschulen”, scuole di promozione, termine edulcorato per “scuole speciali”, termine in uso invece nella vulgata.

Inoltre, nonostante la ministra sostenga che esiste il libero accesso nelle università, anche per chi ha scelto il ramo professionale, con scuola e apprendistato nelle aziende, la strada per gli atenei è piuttosto in salita, ed è comunque sbarrata a seconda delle facoltà. Una volta preso un indirizzo, è difficile cambiare idea.

Il sistema prevede che il percorso formativo venga deciso dopo le elementari (a 10 anni di età), e non è difficile intuire che è il retroterra sociale a determinare  questa scelta e quindi il destino dei ragazzi e delle ragazze.

Parla da sé la bassa mobilità sociale che esiste in Germania: solo il venti per cento dei figli di non titolari di laurea arriva a frequentare l’università. Anche i figli di migranti non hanno molte chances in questo sistema che troppo spesso li discrimina e li relega nelle “scuole speciali” per “difficoltà di apprendimento”, e quindi di “integrazione”.

Inoltre in Germania, Repubblica federale, l’istruzione è competenza dei Länder, per cui i sistemi variano da regione a regione (ma la struttura selettiva rimane): solo da poco si è introdotto l’esame che unifica la maturità in tutti i Länder. Infine, sono ancora rari i tentativi di introdurre una scuola unica per tutti, eliminando quelle speciali.

Oltre alla logica classista che ispira il sistema, si aggiunge il problema del dumping salariale che colpisce molta della manodopera che esce dal sistema duale, come nel caso esemplare dei/lle parrucchieri/e di chi fa assistenza a anziani e invalidi. Si certifica la vastità di arti e mestieri artigiani, attività produttive e di servizi, ma non si dà accesso alla maturità obbligatoria per gli studi universitari.

Nel sistema duale si dà un’infarinatura di cultura cosiddetta “generale”, ma il grosso della formazione è a cura dell’impresa.  D’altronde tutto il sistema privilegia la competizione e il rendimento, come nel caso dei cosiddetti “superdotati” che seguono un percorso formativo in classi separate dai meno dotati.

La campagna di informazione (e reclutamento) è già partita anche in Italia. Delegazioni tedesche avranno modo quest’anno sulla base dell’accordo stipulato a novembre scorso tra Italia e Germania, con le ministre Von der Leyen e Fornero, di illustrare anche nei territori i “vantaggi” del sistema duale. Anche le parti sociali, quindi sindacati e rappresentanti di camere di commercio e associazioni industriali tedeschi, fanno parte del progetto e delle delegazioni.

PAOLA GIACULLI

da Cambia il mondo

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