SEL E LA COSA GIUSTA, O DELLE OCCASIONI MANCATE

di Mattia Gambilonghi

Sabato si è finalmente tenuta a Roma la manifestazione annunciata da Vendola all’indomani dell’affaire Rodotà. Manifestazione che, almeno nei proclami iniziali, doveva servire ad avviare un “cantiere” finalizzato alla costruzione di un nuovo soggetto unitario della sinistra italiana.
Niente più di distante da ciò che nei fatti si è tenuto a piazza Santi Apostoli: più che un cantiere, l’appuntamento dell’11 maggio si è rivelato essere una semplice manifestazione di partito. Legittimo, per carità. Ma sicuramente non un evento all’altezza dei compiti e delle necessità che la fase politica attuale impone come urgenti e non rinviabili.

Se infatti le posizioni politiche espresse dall’insieme degli interventi (opposizione al precariato e alla riforma Fornero, rifiuto dell’Europa antidemocratica e austeritaria, riconversione ecologica dell’economia, critica – seppur fuori tempo massimo, ci permettiamo di aggiungere – alla forse inesorabile deriva moderata intrapresa dal gruppo dirigente del PD) confermano indubbiamente la collocazione di SEL, aldilà della scelte strategiche compiute in questi anni, nel campo di quella sinistra che vuole tentare di rappresentare il lavoro ed il malessere sociale prodotto dalle filosofia rigorista della troika, il fatto di aver sorvolato, o comunque di non aver dedicato la dovuta attenzione ed il dovuto spazio alla tematica della ricomposizione unitaria dell’insieme della sinistra che si pone sul piano dell’anti-liberismo; tutto ciò rischia insomma di far rimanere SEL nell’ambito di un’autosufficienza foriera, nei fatti, dell’impossibilità di ribaltare realmente quella linea di sostanziale subalternità all’alleato democratico perseguita – se volontariamente o involontariamente non sta a noi dirlo – nel corso degli ultimi anni. Gli appena tre minuti dedicati da Vendola a quello che che doveva essere l’elemento centrale della giornata, la sua stessa ragion d’essere – cioè il “cantiere della sinistra” – uniti all’estrema vaghezza con cui l’argomento è stato affrontato, testimoniano appieno l’inadeguatezza della giornata di sabato nel fare realmente, per l’appunto, “la cosa giusta”.

Il rischio a cui si va incontro con l’atteggiamento di autosufficienza sbandierato sabato dal gruppo dirigente di SEL, è quello di perdere un treno che potrebbe ripassare tra chissà quanto tempo. La probabilità che lo spaesamento indotto dal PD nel suo tradizionale elettorato venga intercettato da Grillo è infatti altissimo. Dall’altra parte, lo stato confusionale in cui versano il PD ed i suoi organismi dirigenti a causa della guerra fra bande attualmente in corso, non è un qualcosa destinato a durare per sempre. Con il rischio, qualora a sinistra ci si attardasse ulteriormente in questa fase di stallo e di inerzia politica, di regalare al presunto rinnovamento renziano tutto quel mondo costituito da militanti e simpatizzanti profondamente sfiduciati nei confronti del PD, ma pronti ad aggrapparsi all’ancora di salvezza del liberismo rottamatore di Renzi in assenza di referenti credibili ed autorevoli.

E’ per questo che SEL porta un’enorme responsabilità su di se: quella di non limitarsi ad una semplice operazione di allargamento dei suoi tesserati, operazione senz’altro miope e a corto raggio, la quale si risolverebbe semplicemente nell’affluenza di un migliaio – o poco più – di nuovi tesserati, provenienti perlopiù dalle altre organizzazioni della sinistra attualmente in difficoltà. Ciò che invece andrebbe fatto, “la cosa giusta” di cui c’è realmente bisogno, è l’avvio di un percorso in grado di parlare ad un pubblico estremamente più vasto, tale da comprendere tanto lo storico zoccolo duro dell’elettorato di Rifondazione Comunista (e del PdCI) nei suoi momenti migliori, quanto una parte considerevole ( se non maggioritaria) di coloro che vent’anni fa scelsero di seguire la parabola avviata dal PDS, ma che finalmente hanno preso atto dei limiti e delle illusioni da sempre insiti in quella strategia di liquidazione delle ragioni sociali della sinistra e del comunismo italiano. E a questo pubblico si arriva solamente se si è capaci di mettersi in gioco e a disposizione di qualcosa più largo, smettendo di porsi in posizione sopraelevata e assumendo al contrario un atteggiamento il più paritario possibile nei confronti di tutti coloro (partiti, associazioni, aree programmatiche sindacali, singoli) che sentono oggi il bisogno di una sinistra né trincerata nel massimalismo, ma neanche tale da far propri gli assunti della cultura politica liberale e mercatista in nome della modernità e dell’aspirazione di governo.

Sentiamo quindi la necessità che venga convocata al più presto un’assemblea nazionale di lancio del Cantiere della sinistra, un’assemblea che veda promotore non una sola organizzazione, ma – con pari dignità – tutte le realtà a sinistra che credono in un simile percorso, e che si occupi di dettare e stabilire i meccanismi di svolgimento delle assemblee territoriali che dovranno portare alla costruzione del nuovo soggetto unitario. Meccanismi, ci teniamo a ribadirlo ancora una volta, tali da permettere una partecipazione la più larga e la più sincera possibile, alternativa sia all’unanimismo spoliticizzante tipico di un certo modo di intendere il centralismo democratico, sia a quella cristalizzazione in correnti causa – lo si è visto più volte – di sclerotizzazione e disarmonia dell’azione politica dei partiti della sinistra.

MATTIA GAMBILONGHI

da Cronachemarxiane.com

maggio 2013

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