L’amore che non finisce. Ci vediamo al Pride del 9 giugno a Bologna

di Lorenzo Lupoli

E’ un 17 maggio strano, di un periodo molto strano. Un 17 maggio che inizia, per me, almeno due mesi fa, in un 17 marzo di lutto e ricordo.
Le campane suonano a morto, l’odore acre dell’incenso mi spingono fuori, sul sagrato della chiesa dove sono entrato e mi sono seduto in prima fila, per rispetto di chi non c’è più, a condividere il dolore con chi, silente, sa come me quello che nessuno doveva sapere, quello che nessuno ha voluto sapere.

Io e lui lo sapevamo, e senza grida, pianti e stramazzi tipici della tragicommedia napoletana, lo ricordiamo anche per quello. E’ “l’amore che non osa pronunciare il suo nome”, narrerebbe Nichi folgorato sulla via democratica del buon governo, della buona politica, della buona sinistra, citando un giovane Oscar Wilde rivoluzionario del suo tempo, nell’epoca bigotta e puritana dell’Inghilterra vittoriana.

Le campane suonano a morto e fuori, sul sagrato, dove l’odore dell’incenso si disperde tra i clacson e i fumi del traffico cittadino, risuona l’eco delle parole del piccolo ministro della chiesa di turno: peccato e senso di colpa sono il leitmotiv di un breve sermone per celebrare un rito inevitabile e stanco, che servirà ai molti presenti, ai più, quasi a tutti, per liberarsi dai sensi di colpa per aver dimenticato chi per gli ultimi anni non era più apparso sul palcoscenico della vita quotidiana.

E’ un periodo strano, perché solo due settimane prima se n’era andato anche Lucio Dalla, quell’artista naïf al quale somigliava un po’ e che come lui non aveva mai voluto pronunciare il nome del suo amore. Dalla salutato in barba alla blasfemia clericale nella “Piazza Grande” della sua città, Bologna la dotta, la grassa e la rossa (per il colore rossastro delle case della città, non illudiamoci troppo).

E’ un periodo strano, perché alla fine del mese di marzo arriva la notizia della morte annunciata dopo tre settimane in fin di vita di Daniel Zamudio, ragazzo gay seviziato e torturato per sei ore nel centro di Santiago del Cile da un gruppo di suoi coetanei neonazisti. Una notizia che fa il giro del mondo nell’immagine di un giovane volto dagli occhi curiosi e vispi di chi vuole dare un senso alla vita. Un omocidio per cui nel nostro civile e democratico paese non ci sarebbe ad oggi alcuna aggravante per il crimine d’odio fomentato e indotto dal pregiudizio omofobico ed eterosessista.

E’ un 17 maggio strano, perché nel pieno di una profonda e seria crisi economica e sociale chi lavora quotidianamente per mantenere alta l’attenzione sui temi dei diritti civili, della laicità e delle pari opportunità (che vanno ben oltre le questioni lgbti), nel migliore dei casi è considerato inopportuno e irresponsabile. Oggi, infatti, per capi e capetti, leader dell’ultima ora, ma soprattutto per l’establishment di centro-sinistra ci sono “altre priorità”, perché “questo non è il momento”, perché se abbiamo perso e dobbiamo tornare a vincere non dobbiamo rifare l’errore di occuparci troppo di “carcerati, froci, zingari e puttane”, come se le tematiche in questione non potessero viaggiare su due binari paralleli e incontrarsi per rendere l’opposizione sociale a questo governo e alle sue politiche più forte ed unitaria.

Il must della sinistra moralista così diviene quello di “ordine e progresso”, come recita il motto positivista inscritto nella bandiera verde-oro di un grande paese emergente, quello che non diventeremo mai noi, lentamente ridotti a sudditi della troika liberista di cui fa parte l’UE. L’Europa di cui a corrente alternata siamo stati affascinati, presi dalla sbornia per il “libero mercato” ma incapaci, per mancanza di volontà politica, di trarne il meglio in termini di politiche sui diritti civili, laicità e pari opportunità, nonostante sia l’Europa che ce lo chiede.

E’ un 17 maggio strano e nonostante lo stato di cose presente sembra ridurci ad un’ineludibile guerra fra poveri per l’esistenza, noi raccogliamo con orgoglio e rabbia l’ennesima sfida che la lotta per la vita (e non per la mera esistenza) ci lancia. Una lotta quotidiana che dovremo saper cogliere, in cui dovremo saper stare (e non presenziare), come sempre in direzione ostinata e contraria a cominciare dal prossimo 9 giugno: ci vediamo al Bologna Pride, con le nostre belle bandiere, rosse e arcobaleno, dal basso a sinistra.

Ciao zio, questa volta più che mai manifesteremo anche per te.

LORENZO LUPOLI
Comitato promotore RibAlta – Alternativa Ribelle

17 maggio 2012

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