Mettere in evidenza la diversità dei comunisti

intervento di Simone Oggionni alla Direzione nazionale del PRC Ho notato nella relazione di Ferrero un vuoto che onestamente mi preoccupa. Tra due settimane svolgeremo il congresso nazionale della Federazione della Sinistra, siamo nel pieno delle due settimane nelle quali abbiamo compresso i congressi territoriali. La relazione si è giustamente dilungata sugli scenari futuribili di carattere istituzionale ma non ha detto nulla sulla Federazione della Sinistra, sul suo congresso, sulle sue prospettive, sulle campagne che intendiamo mettere in campo, sul suo profilo sociale e politico. Mi sarei aspettato quantomeno un bilancio dei congressi territoriali in corso. Che cosa percepisco io sui territori? Fondamentalmente tre cose.

La prima è che i compagni vivono con angoscia il rovesciamento di senso a cui la politica ci costringe (discutendo in maniera pervasiva degli scandali sessuali di Berlusconi e non della crisi, della casa di Montecarlo e non dei tagli alla scuola e all’Università pubblica) e ci chiedono di svolgere un’opera di controcanto, di essere una voce fuori dal coro, il megafono delle lotte operaie. Quindi ci chiedono concretezza, meno tatticismo e meno politicismo. Ci chiedono di individuare insieme una linea politica e sociale più che di parlare della legge elettorale. Di fare tante campagne come quella sulla norma del collegato lavoro che riduce a 60 giorni il limite massimo di tempo entro il quale i precari con un contratto irregolare possono impugnarlo legalmente e quindi ci chiedono di mettere il partito concretamente al servizio della nostra gente.

Seconda cosa: i compagni vivono con soddisfazione, con grande speranza l’avvio del processo unitario a sinistra e di riunificazione in primo luogo dei comunisti. Questi sentimenti sono nobili e non vanno, come tutti i sentimenti, in primo luogo quelli dei nostri compagni, ridicolizzati. A maggior ragione quando si fondano, come in questo caso, su basi di validità oggettiva.

In terzo luogo c’è un disorientamento rispetto ai passi indietro compiuti con queste modalità congressuali, all’assenza di democrazia nelle scelte dei delegati, ad un congresso che si è definito pattizio ma che, fuori dalla retorica, rende impossibile quella discussione politica vera e profonda che anche in questa sede è stata rivendicata. La rende impossibile perché il soggetto politico che la discute e la decide coinciderà con i gruppi dirigenti delle correnti dei diversi partiti e non con il popolo largo dei nostri iscritti.

Detto questo, e cioè che il gruppo dirigente rischia davvero di rimanere più indietro della nostra base, cosa dobbiamo fare? Io condivido il fatto che la nostra linea politica, oggi, debba rimanere questa, fondata sull’alleanza democratica e sull’offensiva unitaria a sinistra.

Come cambierebbe questa linea se andasse in porto l’ipotesi del governo tecnico o, peggio ancora, come si percepisce dai desiderata di D’Alema, finiani e Udc, di un governo di transizione con un profilo “interventista”, che faccia non solo la riforma della legge elettorale ma anche riforme sociali ed economiche? Guardate, sbaglieremmo se mantenessimo i paraocchi e non la rivedessimo, ma bisogna capire in quale direzione.  Abbiamo un precedente: nel 1995, dopo il ribaltone di Bossi e la caduta del governo Berlusconi noi riuscimmo a coniugare l’opposizione nettissima al governo Dini con il tentativo di riallacciare, allora nelle forme della desistenza, un rapporto con le forze democratiche. È quello che dovremmo fare anche in questa occasione.

Dentro quello scenario, come ovviamente in quello con cui attualmente ci confrontiamo, c’è il tema della costruzione dell’unità della sinistra. È sicuro che SeL vuole o vorrebbe fare parte della partita? No. È sicuro che Vendola venga riconquistato ad una prospettiva di alternativa? Ovviamente no. Quello che è certo è che se noi non proseguiamo l’offensiva unitaria a sinistra, SeL verrà risucchiata inevitabilmente e definitivamente nel gorgo del Partito democratico.

Ma che cosa manca ad un discorso come questo, come a tutti quelli che ho sin qui sentito? Mancano i contenuti. Su questo si verifica il buon senso delle proposte e delle cose dette.

Sui contenuti e non su altro noi siamo diversi dalla Bindi che esprime solidarietà alla Marcegaglia e da Fassino che sostiene che la guerra in Afghanistan è una missione di pace!

Sui contenuti e non su altro siamo molto simili a chi, con noi, è sceso in piazza il 16 ottobre a fianco della Fiom e a chi, con noi, sta costruendo i comitati referendari per la difesa dell’acqua pubblica.

Dico ancora due cose e concludo.

Le primarie non ci appartengono come cultura politica. Anche quando in Rifondazione Comunista nel 2005 c’era chi le difendeva a spada tratta, c’era anche chi diceva allora quello che in molti dicono adesso: che le primarie sono un modello di politica personalistica e presidenzialistica che non ci piace.

Tuttavia le primarie diventeranno, se si andasse a nuove elezioni, l’evento centrale dell’agenda politica della sinistra e potrebbero diventare lo strumento per discutere di contenuti e per chiedere ai candidati di svelare, oltre agli slogan, il proprio profilo programmatico e di farlo capire alla nostra gente.

Infine, il nodo dei rapporti sociali. Io insisto: la Cgil avrà una linea concertativa, e va combattuta. Epifani sta facendo marcia indietro rispetto alla parola d’ordine dello sciopero generale, e va incalzato.

Ma quando parliamo della Cgil non possiamo metterci in cattedra. 6 milioni di lavoratori sono una massa imponente di lavoratori che ci vieta di utilizzare nei loro confronti supponenza. Perché il rischio è che la parte della Cgil che vuole un sindacato più conflittuale e che quindi guarda a sinistra (comprese grandi categorie, oltre alla Fiom), non ci trova – impegnati come siamo nella critica permanente – e si rivolge ad altri, come dimostra il recente congresso di SeL.

SIMONE OGGIONNI
Intervento alla Direzione nazionale del PRC – 4 Novembre 2010

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